Sono certo che l'assessore all'Urbanistica di Milano, Masseroli, non è caduto dalle nuvole quando, dopo aver annunciato di voler alzare l'indice di edificabilità per poter costruire nuove case e far crescere la popolazione di 700mila unità entro il fatidico 2015, gli sono piovute addosso prevedibili critiche (ma, francamente, in quantità minore del previsto): «colata di cemento», «cementificazione del verde» e avanti così, col consueto, repertorio tardo-ambientalista. La circostanza bizzarra è che spesso a muovere queste accuse sono gli stessi che lamentano mancanza di case a Milano per le famiglie giovani e meno abbienti, studenti e immigrati, mentre proseguono indisturbate (ma perché?) le occupazioni abusive, anche queste sempre ai danni dei più deboli e dei più poveri. Tuttavia, se è vero che ogni giorno entrano a Milano 700mila persone che se vi abitassero genererebbero meno traffico, è anche vero che qui la densità di popolazione, con più di 7000 abitanti per chilometro quadrato, è tra le più alte in Europa. Ma di quale Milano stiamo parlando?
Sì perché, incredibilmente, si continua a ignorare la prospettiva della città metropolitana. Forse perché nessuno crede alla sua realizzazione, essendo questo il paese dove sembra che nessuna vera riforma sia possibile: dal federalismo alla scuola. Infatti ragionando, finalmente, su scala metropolitana, dimensione reale della «comunità» sociale ed economica milanese, l'impatto degli interventi necessari per risolvere la crisi abitativa appare - ed è di fatto - meno invasivo. Distribuire sul territorio metropolitano gli interventi per rispondere alla domanda di abitazioni di tutta l'area interessata, costruendo case, incrementando i trasporti, decentrando i servizi, non apparirebbe più una «colata di cemento». E comunque lo sarebbe molto meno.
La metropoli dimenticata in un cassetto
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