Metti una sera a cena con gli aristotelici

Antonio Latella porta sulla scena un testo di Giordano Bruno sul rapporto tra filosofia e scienza

Laura Novelli

Portare la filosofia e la scienza a teatro è senza dubbio impresa ardua. Soprattutto quando le si affronta non basandosi su testi concepiti ad hoc, bensì traducendo in linguaggio scenico opere nate con altre destinazioni. E se, da un lato, la forma del dibattimento dialogico si rivela quasi sempre la più idonea alla comunicazione teatrale, dall’altro, bisogna riconoscere che non sempre disquisire raffinatamente di cosmologia, astronomia o etica si traduce, sul palcoscenico, in un messaggio chiaro e accessibile. Come capita, per esempio, nell’ultimo spettacolo di Antonio Latella, intitolato La cena de le ceneri e dedicato a Giordano Bruno, dove il prolifico regista campano, pur nell’originalità d’invenzione che contraddistingue da anni la sua ricerca, corre il rischio di consegnarci un lavoro poco leggibile. Certamente, il testo di partenza - una silloge di dialoghi pubblicata in Inghilterra nel 1584 dove, facendo riferimento a una cena tenutasi, con molta probabilità, a casa dello scrittore Fulke Greville, Bruno riporta lo scontro avuto con gli aristotelici di Oxford sulla teoria copernicana - è di per sé molto concettoso e difficile. Nella rielaborazione di Federico Bellini, il libello del nolano diventa un corpo vivo di idee, controversie, discussioni affidato a quattro energici interpreti (Danilo Nigrelli, Marco Foschi, Fabio Pasquini e Annibale Pavone) che sono per prima cosa «attori» (e dunque uomini di ogni tempo) capaci di restituire il pensiero bruniano attraverso la fisicità di un percorso scenico dove si mescolano lingua e movimento, battaglie vocali, esercizi di memoria e formalismo gestuale. Non sempre però quanto detto - si parla, tra le altre cose, delle ipotesi eliocentriche e dell’infinita grandezza dell’universo - risulta limpido, malgrado la musicalità di una lingua volgare che suona antica e materna, e malgrado l’indubbia bravura degli interpreti (in particolare di Nigrelli che impersona Teofilo, alter ego del filosofo, e di Foschi nel ruolo dell’assennato Smitho). Il prologo iniziale si svolge davanti a un vistoso sipario rosso (come già succedeva nel precedente Bestia da stile pasoliniano) e introduce, in uno spazio connotato in modo metateatrale, la situazione e la materia del contendere. La cena vera e propria ha luogo invece «dietro» quello stesso sipario, in una «scatola» col pavimento coperto d’acqua (elemento primigenio) che ospita un crescendo di concitazione e disquisizione, preludendo al legame inesorabile tra la vita e la morte.

Teofilo/Bruno viene infatti crocefisso insieme con quei fantocci di pezza (metafora degli spiriti pavidi e miopi?) già comparsi all’inizio dello spettacolo e la sua condanna anticipa l’immagine video di una nascita che ci riporta di colpo all’origine stessa dell’uomo: allo stato primordiale di un’infanzia dell’umanità ridotta a balbettio e fremito finali. Al teatro India fino all’11 dicembre.

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