Politica

In mezzo alla fuffa spunta il balzello

Ci vuole un libretto di istruzioni per capire ciò che sta avvenendo in questi continui vertici di Palazzo Chigi sulla vicenda salari. La questione di fondo è chiara: la perdita di potere di acquisto degli italiani aggravata dalla ridicola crescita economica sta iniziando a mordere. A ciò si aggiunga una politica fiscale che ha reso ancora più pesante la tenuta dei conti delle famiglie. In questo scenario ci sono fondamentalmente tre posizioni distinte.

Il presidente del Consiglio è un mago dell’effetto annuncio. «Ci occupiamo del problema», «calendarizziamo gli incontri con le parti sociali», «siamo usciti dall’emergenza dei conti pubblici». Fuffa allo stato puro. Ma gestita con sapienza. Negli ultimi due giorni Prodi ha così comprato tempo. Ha prima rassicurato i sindacati e Confindustria assicurando loro un ruolo nella spartizione dei prossimi tesoretti fiscali. E ha poi ceduto alle furie ideologiche della sinistra massimalista dando a loro in pasto la prossima tassazione delle rendite finanziarie.

In questo annuncio vi è una contraddizione luciferina: se la tassazione venisse fatta considerando tutti i titoli in circolazione (dalle cedole in scadenza dei Btp ai guadagni di capitale sulle azioni) con una mano si toglierebbero quattrini alle famiglie e con l’altra si restituirebbero in parte ai dipendenti pubblici e ai lavoratori sindacalizzati. Un gioco a somma negativa. Se invece l’«armonizzazione delle rendite finanziarie» non dovesse riguardare i titoli pubblici in circolazione, il gettito per le casse dello Stato sarebbe ridicolo, vicino allo zero. Muovere le aliquote sui Bot è controproducente, Prodi ovviamente lo sa, ma il solo annunciarlo tranquillizza il suo fianco sinistro.

La seconda posizione è quella di Tommaso Padoa-Schioppa. Il ministro dell’Economia conosce bene lo stato dei conti e dunque il grasso con cui poter cucinare le prossime pietanze. A marzo, grazie alla spremuta dell’anno scorso, potrà ancora arrivare un surplus di gettito. Ma conviene non sprecarlo: il quadro macroeconomico e quello che è, e allo stato attuale si delineano dei torbidi sullo scenario economico. A ciò si aggiunga che Padoa-Schioppa non ha più intenzione di fare regali al settore del pubblico impiego.

Mentre l’Italia soffriva, nel 2007, poco prima delle elezioni amministrative di maggio, sono stati concessi ulteriori aumenti al settore pubblico: l’elargizione totale è a quota 7,5 miliardi di euro. Inoltre Tps si è impegnato al pareggio di bilancio nei prossimi tre anni: e dunque deve recuperare risorse per 30 miliardi di euro. Insomma l’ex banchiere centrale sui conti sta dando l’impressione di non voler giocare. L’ultimo rinnovo contrattuale ai dipendenti pubblici per Tps «è stato un errore» come confermò in una intervista al Sole-24 ore.

La terza posizione è quella del sindacato. L’anno scorso è risultato il partito vincente: ha portato a casa il rinnovo dei contratti pubblici (come già detto) e l’abolizione dello scalone Maroni sull’età pensionabile. Banalizzando in miliarducci, si può dire che ha incassato 18 miliardi di euro (poco meno di 8 sui contratti e 10 sulle pensioni). Adesso però è lì in piazza a dirci che le famiglie non arrivano alla quarta settimana e chiede la riduzione fiscale sui salari.

Non considerando il fatto che l’aumento della spesa pubblica, cagionato dalle sue pretese, ha ridotto all’osso le sostanze del Tesoro. È una posizione meta-ideologica. Si vuole mantenere l’età pensionabile sotto i 60 anni e rendere meno flessibile l’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro. Si chiede la detassazione dei salari, ma al contempo si pretende maggiore spesa pubblica.
Il combinarsi di queste tre posizioni e lo spostarsi del pendolo tra l’una e l’altra spiegano l’erraticità di un governo perennemente in emergenza e in essa compiaciuto.
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