Politica

Mi dimetto da giornalista Non voglio essere collega dei finti martiri

Domani mi autosospendo dalla professione di giornalista. Perché domani la Federazione nazionale della stampa manifesterà per la libertà di stampa minacciata e io mi vergognerò di essere giornalista. Se mi chiederanno per strada che mestiere faccio, dirò il pescatore o lo scrittore, non certo il giornalista. Se il testimonial della stampa libera è la D’Addario, preferisco dirmi minatore. Mi vergogno innanzitutto per rispetto verso tutti coloro che hanno pagato di persona il duro prezzo della libertà, giornalisti inclusi. Quelli che davvero hanno sofferto sulla propria pelle la perdita della libertà e del diritto d’opinione.
Manifestare per la libertà di stampa contro il governo in un Paese dove i tre quarti della stampa sono contro il governo e continuano a esserlo più accaniti di prima, è prima di tutto un’offesa a chi ha pagato anche con la vita, in regimi veramente dispotici, la propria libertà di opinione. Mi vergogno per le vittime, per i giornali chiusi per censura, per i tanti che hanno dovuto umiliarsi per sopravvivere o si sono fatti ammazzare, anche ai nostri giorni, per raccontare la verità. Non vedo martiri, neppure alla lontana, nel nostro Paese tra i giornalisti de la Repubblica e de l’Unità, di Annozero e del Fatto, di Raitre o dell’Avvenire e nella Federazione della stampa. Immolarsi per la patria lo capisco, per la D’Addario no.
Mi vergogno poi per l’assurda minaccia alla stampa libera proveniente nientemeno che da un paio di querele con richiesta di risarcimento danni da parte del premier. Nessuna dittatura, cruda o strisciante, ha mai fatto ricorso a querele per zittire gli avversari, ricorrendo perfino ai malfamati giudici. Penso che Berlusconi abbia sbagliato a farlo, ma sul piano della strategia politica e comunicativa, non certo perché mette in pericolo la libertà di stampa.
E mi vergogno per la stridente, clamorosa disparità di giudizio che è tornata sotto gli occhi di tutti con la querela di Fini al Giornale, seguita da un plauso unanime da parte di coloro che scendono in piazza proprio per protestare contro l’uso delle querele da parte di chi ha incarichi istituzionali. Perfino la materia è la stessa, l’intreccio di pubblico e privato, le luci rosse.
Aggiungo a scanso di equivoci che reputo Fini, come D’Alema del resto, non personalmente coinvolti in storie a luci rosse, che riguardano semmai i loro entourage o le loro emanazioni periferiche. E comunque tra questi mi indignano più gli scandali sulla salute degli italiani che sulla salute sessuale dei politici. Per dirla tutta, reputo lo stesso Berlusconi responsabile sì di leggerezza e senso spiccato del piacere, ma non certo colpevole di istigazione alla prostituzione o reati affini. Comunque sbagliano a querelare, Berlusconi, Fini poi e D’Alema prima.
Mi vergogno poi di vedere accomunati in questa grottesca manifestazione vecchi comunisti che della libertà di stampa, ovunque hanno avuto un briciolo di potere, ne hanno fatto carne da porco; giornalisti che nei loro giornali cancellano chi non la pensa come loro, li condannano a morte civile; o se proprio non possono farne a meno, li trattano come criminali e venduti; giornali cattolici che vedono la libertà di stampa minacciata solo perché un giornale, guarda caso il nostro, ha pubblicato una notizia vera e imbarazzante sul loro ex direttore, e anziché difendere la persona circoscrivendo l’episodio deplorevole, preferiscono inveire, negare il fatto e accompagnarsi ad atei, abortisti, ammazzapreti, nemici della religione pur di vendicare l’omertà violata sul loro direttore; giornalisti che della libertà di stampa e della verità ne fanno polpetta avariata, ma gorgheggiano sulle medesime.
Questa manifestazione mi ricorda quella sulla libertà in pericolo quando chiuse per eccesso di costi e scarsità di lettori la Voce di Montanelli e tutti, dico tutti, compresi i tg di Stato, scesero a manifestare contro un dittatore che allora era all’opposizione...
Ma la verità fu che i lettori del Giornale rimasero liberamente fedeli al loro Giornale e al Montanelli di sempre, piuttosto che seguirlo in un’avventura plaudita dalle sinistre e improntata all’odio verso Berlusconi e i suoi alleati. Mai visto un coro che grida ad alta voce sulla libertà di stampa mutilata; di solito i dissidenti sono voci mozzate e disperse, usano i fogli clandestini e non i principali giornali e telegiornali; sono pochi e malridotti, non cori unanimi da stadio e ben pasciuti. Mai visto poi un coro che insorge contro un solo giornalista e il suo giornale, dico Feltri e il presente quotidiano, e vede in loro, più Libero, la stampa del regime.
Dev’essere un regime ridicolo quello che ha un solo giornale, o due al massimo, che non si pubblica come la gazzetta ufficiale e non arriva gratis o d’ufficio agli italiani ma è liberamente comprato ogni mattina da svariati lettori. Cento contro uno, e i cento accusano l’uno di essere conformista e l’altoparlante del regime. Né Kafka né Fantozzi arriverebbero mai a tanto.
Con la protesta di domani siamo al rovesciamento del significato di libertà e conformismo, di verità e ideologia. Un gioco al massacro o un becero gossip li chiamate libertà di stampa, una notizia vera o un’opinione schietta le chiamate killeraggio.
Se non toccasse anche noi e la maggioranza incolpevole degli italiani, vi meritereste un regime veramente autoritario, perché non riuscite a vivere nella libertà di stampa: a voi vanno bene o i veri despoti, che soffocano il dissenso nel nome di un’ideologia progressiva, o i melliflui sacrestani che addormentano la libertà di stampa, corrompono il dissenso, neutralizzano le voci scomode e nascondono sotto le tonache la verità. Siete clericali senza essere cattolici, siete comunisti senza odiare l’ingiustizia, siete giornalisti senza amare la verità e la libertà. Domani mi autosospendo come giornalista per non sentirmi collega vostro. Amo troppo la libertà di stampa e la verità per accettare l’abuso che ne fate.

Non accetto di mandare la libertà a puttane.

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