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"Mi ha minacciato 'in nome del popolo italiano'..."

La versione del tenente Pasquale Ferrari della compagnia dei carabinieri di Francavilla Fontana. La deposizione contenuta nell’esposto-denuncia è agli atti della procura di Brindisi

"Mi ha minacciato 'in nome del popolo italiano'..."

Brindisi - Ecco la versione del tenente Pasquale Ferrari della compagnia dei carabinieri di Francavilla Fontana. La deposizione contenuta nell’esposto-denuncia è agli atti della procura di Brindisi.
«All’incirca erano le 14.25 del 19 maggio 2007 quando mi veniva transitata in ufficio una telefonata della dottoressa Clementina Forleo. Senza che mi fosse concesso il tempo per esprimere cordialità, la stessa con tono subito fermo e autoritario, entrava nel merito esprimendo giudizi di forte disappunto sulla conduzione delle indagini relative al decesso dei genitori, nonché mi chiedeva conto dei ritardi da parte della Telecom di fornire i tabulati richiesti dall’autorità giudiziaria di Brindisi. Inoltre, con tono sempre più alterato, riferiva che a distanza di quasi tre anni ancora non era riuscita a sapere chi aveva minacciato i suoi genitori. Aggiungeva che a causa di tale ritardo aveva intenzione di presentare un esposto alla procura di Potenza nei confronti dei colleghi di Brindisi addebitando agli stessi inqualificabili comportamenti omissivi e negligenti (...) Di ciò avrebbe dovuto rispondere anche il sottoscritto, delegato per le indagini. A dire della stessa (Forleo, ndr) facevo in tempo a rimediare se mi fossi adoperato per la risoluzione del problema. Nella stessa telefonata ebbe a chiedermi, con tono di comando, di “fornire copia al suo avvocato di eventuali solleciti inviati al gestore di telefonia (...)”. Ai miei primi rilievi consequenziali a tale deprecabile atteggiamento, ossia perché si rivolgesse con tali modi e toni, (...), inaccettabile la minaccia del personale coinvolgimento se non mi fossi adoperato in positivo nell’assecondare le aspettative. Tali rilievi scatenavano la collera e l’ira della stessa in un crescendo di offese e denigrazioni. Tanto da dire che si faceva “portavoce di tutti i cittadini italiani che avevano dovuto subire simili soprusi” nonché testualmente urlando profferiva le seguenti espressioni: “Si deve vergognare tenente, si tolga l’uniforme. Quello che è successo è anche colpa sua che non ha fatto nulla per difendere i diritti dei cittadini come i miei genitori. In nome del popolo italiano, si tolga l’uniforme perché non è degno di indossarla”. Aggiungeva altresì (...) che “mi dispiace per questa mia gente, che come ho già scritto, non vive nel buio ma in ben più gravi tenebre” (...). Vista l’impossibilità di contenere le offese gratuite e personali, attivavo la funzione del viva voce e facevo entrare nel mio ufficio un brigadiere e un appuntato. I due militari, anche loro sconcertati dal tono della voce e dalle affermazioni, rimasero ad ascoltare in imbarazzato silenzio. Senza che le fosse rivolta la minima offesa, la nota interlocutrice rincarò la dose ripetendo: “Si vergogni, si tolga l’uniforme perché non è degno di indossarla. Si vergogni perché lei è la vergogna della Repubblica”. Aggiungeva con tono spocchioso e voce minacciosa: “E adesso mi quereli tenente, mi quereli”. Nonostante i vergognosi insulti e le ingiurie, al fine di porre termine a quella sequela, riuscivo a rispondere che avevo “cose più importanti da fare che querelarla (...). La vicenda mi ha inquietato e ferito. Ogni rilievo mosso è confutato documentalmente: (...) non risultavano pervenute telefonate alle utenze indicate della giudice (...). Ciò che lascia perplessi non sono le gravi e gratuite offese, ma la pretesa della querelante (la Forleo, ndr) di essere soggetto portatrice di diritti e privilegi diversi da comuni cittadini. Ritenere di avere diritto a un diverso trattamento. Ritenere di pilotare e dettare tempi e modalità di un procedimento penale in corso (...). Ritenere di poter impudicamente minacciare conseguenze ad un ufficiale dell’Arma se lo stesso non si fosse prodigato ad accondiscendere ai suoi voleri.

È inaccettabile ritenere di poter impunemente mettere in cattiva luce un ufficiale dell’Arma gettando direttamente discredito sullo stesso e indirettamente sull’Arma».

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