"Mi ritiro, ecco il mio ultimo concerto"

L’artista a 86 anni pubblica il dvd "Live": "Adesso basta, meglio di così la mia vita non poteva essere". In un cd De Sica interpreta i suoi brani: "È il miglior cantante di swing. Fiorello? Si sente mio figlioccio"

"Mi ritiro, ecco il mio ultimo concerto"

Milano - Lui lo dice con voce molto salda, quasi imperiosa: «Basta, adesso voglio ritirarmi dalle scene». Lelio Luttazzi ha 86 anni, qualche acciacco qui e là. C’era la Repubblica di Salò quando Ernesto Bonino cantò il suo primo successo, Il giovanotto matto, 1944. E c’era Bonolis sul palco di Sanremo l’anno scorso quando ha accompagnato Arisa nella serata di gala. In mezzo c’è lui, Lelio Luttazzi, una leggenda di quelle vere: perciò inarrivabile. Ha suonato con Louis Armstrong e con Mina, ha fatto una tivù ancora imbattibile anche se in bianco e nero, è stato malmenato dalla giustizia con quell’incredibile arresto con Walter Chiari che si risolse 27 giorni dopo in un «ci scusi tanto, non ha spacciato droga». Se c’è qualcuno che ha fatto l’Italia che gli italiani rimpiangono, piena di talenti e valori, eccolo è lui: musicista stellare, compositore sapiente, cantante, attore per Antonioni, presentatore in tv e radio, amante del jazz. Una zebra a pois? È sua. Souvenir d’Italie? Idem. Jerry Lewis, che ha tre anni meno di lui, dice sempre: «Gli artisti si dividono in due categorie: quelli con lo swing e quelli senza». Bene, Luttazzi ha lo swing anche adesso, in un pomeriggio a Trieste, mentre annuncia a bruciapelo che basta, «voglio passare il tempo a sbirciare dalla finestra il meraviglioso teatrino di vita che si vede qui da casa mia».

Caro Lelio Luttazzi, lei abita in Piazza Unità d’Italia a Trieste. E proprio qui il 15 agosto ha registrato il dvd «Live» (che tra l’altro è emozionante).
«Ero praticamente sottocasa. E la piazza era piena. Merito soprattutto dei solisti che erano con me: tra gli altri, Adriano Mazzoletti, Massimo Morricone e Guido Pistocchi, uno che suona la tromba che sembra Armstrong».

Il merito sarà anche suo, no?

«Non lo so, non mi è mai piaciuto ascoltarmi. Ho studiato poco il pianoforte, ho sempre le dita dure sulla tastiera».

Lei?
«Io. Ma mi ha aiutato il pubblico, la serata è stata magica: per i triestini sono il figliol prodigo».

Al liceo il suo miglior amico era il nipote di Italo Svevo. Poi se ne andò da Trieste dopo il primo successo che gli fruttò 350mila lire, un’enormità allora.
«Le usai per vivere a Milano. Lavoravo alla Cgd di Teddy Reno. Ma si prendeva poco. E se non fossero arrivati quei denari, non so come sarebbe andata a finire».

Invece ha fatto di tutto. Mina?

«Importantissima. Per me è come una figlia: già ai tempi di Studio Uno dimostrò di essere il massimo dei massimi».

Sophia Loren?
«Come cantante è meglio sua sorella. Ma è anche vero che le composi un brano troppo difficile, You’ll say tomorrow, e lei non aveva nessuna colpa. Ma vuol sapere chi è il miglior cantante italiano di swing?».

Dica.
«Christian De Sica».

Addirittura.
«Meglio di Michael Bublé o Robbie Williams. Ha appena inciso un cd, Swing, nel quale interpreta nove miei pezzi e sembra nato per loro. Formidabile».

Lei cantò «Parlami d’amore Mariù» di suo padre Vittorio.

«Spesso mi tornano in mente cose che ho dimenticato negli anni. Ad esempio, l’altro giorno ho rivisto un mio duetto con Lionel Hampton, che serata. E quando mi ritrovai in un pianobar di via Veneto a Roma con Ella Fitzgerald e Oscar Peterson al pianoforte? Ero estasiato».

Momenti belli e momenti brutti. Nel 1970 fu arrestato con Walter Chiari. La giustizia fece un’ingiustizia.
«Dopo quelle cose, uno rimane incazzato a vita».

In quel momento lei conduceva alla radio «Hit Parade» all’ora di pranzo del venerdì: e l’Italia si fermava ad ascoltarla.

«Per me è stato un momento difficile. Va bene, tutto passa ma rimane sempre quella spina nel cuore. Spedii anche una lettera al Csm per protestare».

Risposero?
«Macché».

Allora diradò le sue apparizioni e divenne un’icona. Nel 2006 Fiorello la richiamò a «Vivaradiodue».
«Lui, Fabio Fazio e De Sica si sentono un po’ come fossero miei figliocci. E io voglio loro tanto bene».

Daniele Fabbri ha scelto Luttazzi come nome d’arte.
«Una volta mi faceva ridere. Ora un po’ meno: lo trovo esagerato».

Lei ha fatto una tivù molto più elegante.
«Eh sì, con Antonello Falqui abbiamo realizzato tante belle cose. Il varietà, la grande musica».

La televisione oggi è fradicia di gossip, di pettegolezzi un tanto al chilo.
«Non condivido. Mi sembra tutto fuori luogo. Diciamo che non sono abituato a tutto ciò».

D’altronde lei ha composto le colonne sonore per «Totò, Peppino e la malafemmina» o «Venezia, la luna e tu» di Dino Risi.
«Un’altra epoca: ho fatto talmente tanto che mi devo impegnare per ricordarlo».

E ora?
«Ascolto poca musica, sono saturo.

Sto preparando qualcosa per un evento che andrà in scena qui a Trieste con Luc Montaigner, il premio Nobel per la medicina: Una notte per l’Africa».

Però si ritira dalle scene.
«Già. Direi che meglio di così non poteva andarmi. E a 86 anni si può anche scegliere di fare quella cosa là, ecco: accettare di essere in pensione».

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