Su questa storia dei nomi fessi, Filippo Facci ha ragione. Il problema non è tanto rappresentato da Peaches (Geldof), Apple (Paltrow), Deva (Bellucci) o Chocis (La Russa). Figli di celebrità. I guai veri - a scuola, alle feste, al telefono - vengono se ci si chiama Felice Mastronzo o Benedetta Topa, ma anche qui, sia pure alla luce di un colpevole masochismo genitoriale, siamo nel campo delle eccezioni, a un passo dalla barzelletta. Conosco invece persone normali (ferrovieri, insegnanti, giardinieri) le quali comprimono nella scelta del nome il mondo estetico-culturale di riferimento, con effetti spesso ridicoli, talvolta devastanti. Ecco allora bambine che si chiamano Arancia, Oceania o Robin (da pettirosso, non da Robin Hood). Maschietti che si chiamano Jorma (da Kaukonen, ex leader dei lisergici Jefferson Airplane), Martin (dalla marca di una celebre chitarra acustica) o Uliano (da Lenin, ovviamente).
Qualche anno fa, tra la gente del cinema, si sparse la moda di battezzare i figli in arrivo Rocco. Nome secco, solido, proletario, s’intende un omaggio al Delon viscontiano; poi, però, tutti crescevano tra i Parioli e via del Babuino. Chissà che ne avrebbe scritto Pasolini, fosse ancora vivo, lui che a Giovanni preferiva Ninetto.
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