Con la consueta verve polemica, Massimiliano Lussana, suggeriva ieri di eseguire il «requiem» per coloro i quali pensano che la cultura e lo spettacolo siano fatti solo di soldi pubblici e di contributi statali. Poiché mi sento, ed assieme a me, tutti i lavoratori del Teatro Carlo Felice, prepotentemente chiamato in causa, vorrei fare alcune considerazioni.
Sul fatto che la prossima manovra finanziaria intenda fortissimamente ridurre le sovvenzioni che nel nostro Paese vengono destinate alla cultura, non siamo certamente alla demagogia ma alla constatazione dei fatti. Basta controllare le tabelle allegate alla finanziaria 2006 e confrontarle con quelle degli anni precedenti per averne coscienza. Il lavoratori del Carlo Felice e io stesso abbiamo esternato le nostre preoccupazioni a riguardo, proprio per la consapevolezza che abbiamo che un impoverimento delle risorse destinate alla cultura ed allo spettacolo sarebbero nefaste non soltanto per noi ma per la vita culturale della nostra città e della nostra regione.
Al Carlo Felice sappiamo bene di «pesare» economicamente sulla finanza pubblica per almeno il 60% del nostro bilancio. Ma siamo anche capaci di rappresentare tre opere in tre giorni, realizzando un evento unico in Italia, di cui poco ci si occupa ma che costituisce un evento straordinario per qualità e resa artistica, che attraverso lo strenuo lavoro di tutti noi è capace di richiamare da mezza europa spettatori appassionati! Quale altra «impresa» culturale della nostra regione dà un lavoro stabile a 280 persone ed un lavoro se pur precario ad altre 60? Quale altra «impresa» culturale della regione si fa carico quanto il Carlo Felice di creare grandi appuntamenti eventi gratuiti, di altissima qualità, quali ad esempio i concerti dello scorso luglio in Piazza Matteotti, che hanno allietato le serate di migliaia e migliaia di spettatori? Quanti altri svolgono un ruolo di diffusione della cultura musicale perseguendo fortemente politiche di presenza in decentramento e nelle scuole?
Qui non si tratta di elogiare l'iniziativa privata a discapito di quelle pubblica.
Che succederebbe alla recentissima capacità di attrazione culturale della nostra città se i musei, i teatri, il conservatorio e le istituzioni culturali fossero costrette a ridurre fortemente la loro attività? (...)
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