E pensare che avevo un bel costume nuovo a fiori. Ma come fai a tirarti indietro quando vieni arruolato a difesa della patria di ogni bagnante, il sacro suolo del bagnasciuga minacciato dal catrame? Alle 17 di domenica pomeriggio, il mio pigro tran tran di vacanziere con famiglia si è trasformato in un’impresa un po’ eroica e un po’ comica. E con me altri duecento padri e madri di famiglia hanno abbandonato il loro posto sotto l’ombrellone per schierarsi in trincea, con l’acqua fino alle ascelle, per evitare che l’onda nera raggiungesse la sabbia, le palette, i pareo, la Settimana Enigmistica. In un punto imprecisato del braccio di Tirreno tra l’Italia e la Corsica, il mascalzone di turno aveva lavato le sue cisterne in mare. E spinta dalle correnti la chiazza si è materializzata di fronte alla punta sudoccidentale dell’Elba: cioè esattamente dove da dieci anni trascorro i miei agosti.
È stata una esperienza istruttiva. Perché anche domenica pomeriggio, di fronte al nemico in arrivo dal mare, l’essere umano - sebbene in ferie - ha mostrato le sue sfaccettature di sempre: l’intraprendente, il cialtrone, il volonteroso, il fellone, l’incompetente, il cinico. Ma se alla fine della giornata - come rivendica legittimamente il bollettino della vittoria diramato ieri dal ministro dell’Ambiente Prestigiacomo - l’oleoso nemico ha battuto in ritirata, una parte del merito - insieme alle moderne tecnologie di solventi e di satelliti - andrà riconosciuto dalla Storia a questi duecento vacanzieri che si sono messi in ammollo a difesa della trincea di Seccheto, armati solo di rete e di retini, obbedendo - come in tutte le vere guerre - ad ordini che non arrivavano mai, e quando arrivavano erano o incomprensibili o contraddittori. Eppure ce l’abbiamo fatta.
Il primo segnale dell’offensiva nemica arriva intorno alle cinque di pomeriggio. Così Roberto, il barista della baracchina che è - come in tutte le spiagge d’Italia - l’unica autorità universalmente riconosciuta e accettata, ci mette un niente a organizzare la controffensiva. Sfodera da chissà dove dei rotoloni di una rete verde e chiama il popolo della spiaggia a fare argine contro la chiazza che avanza. Non per vantarmi, ma sono tra i primi che si calano in mare (seppure con uno sguardo d’addio al mio costumino nuovo). Alle mie spalle, c’è chi continua a giocare a palla, chi fa finta di niente, chi si gode lo spettacolo, chi fa le fotografie.
Però i volontari sono tanti. In poche decine di minuti ci troviamo schierati per tutta la larghezza della baia, con la rete in mano, guardando torvi l’invasore che si intravede tra i flutti. Saremo in duecento, forse più. Pronti a fare il nostro dovere. Ma anche pronti a rendersi conto - passato lo slancio dell’entusiasmo - che nessuno sa davvero quale strategia mettere in campo contro un nemico subdolo e quasi impalpabile. Da Marina di Campo arriva rombando il gommone della Guardia Costiera, ma neanche loro hanno le idee chiarissime. Qualcuno di noi volontari lancia un appello al gommone della Costiera: «Fate l’onda!». Il gommone fa su e giù. La maledetta chiazza si muove appena. Intanto, a stare impalati nell’acqua, comincia a fare freddo. Ma nessuno abbandona il suo posto. Ogni tanto ci arriva l’ordine: «Spostarsi a sinistra!» e noi, obbedienti, eseguiamo. Ma subito arriva il contrordine: «Spostarsi a destra!». Intanto qualcuno dei volontari inizia a stare male per il freddo, per una eroica signora arriva l’ambulanza. Ma non molliamo. In mezzo alla baia, due pescatori cercano di recuperare con il retino - quello che di solito si usa per le telline - la poltiglia nerastra radunata dal gommone della Guardia Costiera e da quello di Daniele, un tipo di Reggio Emilia che ha il diving qui accanto. Ma la sensazione è che stiano cercando di svuotare il mare con un cucchiaio.
Alle otto di sera finalmente l’ordine: rompete le righe. Una fila di galleggianti prende il nostro posto. Lividi ma fieri rientriamo nelle nostre case a cercare di lavare in qualche modo le macchie nerastre che ci costellano. La grande chiazza, l’indomani mattina, non c’è più, anche perché il vento ha girato.
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