«La mia Inter non è in crisi ma vincere non è mai facile»

Il capitano Javier Zanetti, dodicesima stagione in nerazzurro, parla del momento difficile della sua squadra e del suo nuovo ruolo (momentaneo) a centro campo

Claudio De Carli

nostro inviato ad Appiano Gentile

Dodicesima stagione, quando è arrivato c’erano il paulista Caio Ribeiro Decoussau e Avioncito Rambert che volevano fare il centravanti, Roberto Carlos a sinistra, Paul Ince in mezzo e Marco Branca, con Roy Hodgson che aveva bisogno di Ardemagni per stare in panchina. Stagione 1995/96, Javier Zanetti ne gioca 32 su 34, l’Inter finisce settima, è la prima di Moratti, sta per arrivare Ronie. Dicono che Javier sia nato accidentalmente dall’altra parte dell’oceano e qualcuno nelle schede tecniche si ostina a presentarlo come difensore. Diamoci un taglio: com’è l’Inter vista dal mezzo?
«È un’emergenza, l’infortunio di Cambiasso e la squalifica di Vieira hanno costretto Mancini a schierarmi a centrocampo, ma io ne sono felicissimo perché è un segno di fiducia nei miei confronti. Non sono lì per tappare un buco ma sono all’Inter per rendermi utile e questo mi fa sentire importante».
Nel mezzo poi si ha una visione più profonda...
«Questa squadra non è in crisi. Non credevo a chi diceva che avremmo vinto a mani basse, non è mai successo in nessun campionato del mondo. Durante una stagione accadono troppe cose imprevedibili».
Come l’Inter a tre punte?
«Eravamo tutti d’accordo con Mancini. Lui ha molte alternative è giusto che le provi. Il Cagliari ha segnato, si è chiuso e tutto è diventato più difficile, ma questa squadra può reggere le tre punte».
Non sarebbe più semplice avere un modulo e lavorare su quello?
«Noi giochiamo il 4-4-2 e lo sappiamo fare, ma poi si infortuna Cambiasso, Vieira è squalificato e non sai più dove sbattere la testa. Meglio avere diverse soluzioni».
Adriano quando torna?
«Lui sa quanto sia importante, nessuno lo discute, in campo e fuori, è un ragazzo d’oro. Ma non segna. Ricordo le prime partite di Crespo al Milan, era disperato, non segnava e aveva perso la fiducia, succede agli attaccanti. Ma Adriano sa che tutti noi lo stiamo aiutando e questa situazione finirà. Anche lui deve sentirsi importante, ora abbiamo sei partite in tre settimane, c’è bisogno di tutti a iniziare dalla sfida con lo Spartak a San Siro in Champions perché siamo partiti male e dobbiamo recuperare».
Due brutte sconfitte in Europa...
«Abbiamo preso i tre gol in dieci uomini, lo Sporting un tiro un gol, potevano essere due pareggi, anche se ammetto che abbiamo giocato male. Ma la difesa non ha colpe, resti concentrato per l’intero incontro, poi basta un attimo e prendi il gol, ma noi sappiamo se abbiamo commesso errori. Eravamo più arrabbiati per il 4-0 trasformato in 4-3 dal Chievo».
Maicon che tipo è?
«Uno da Inter anche se gli piace di più attaccare, ma stando in Italia capirà cosa vuol dire. È giovane e ha un grande futuro».
Dacourt una rivelazione?
«Non per me. Martella, corre, sempre presente, in allenamento lavora da paura. Era una riserva, è diventato uno dei più importanti. Questa è la grande svolta: non arrendersi mai».
Il carisma di Ibrahimovic vale quello di Ronaldo?
«Ibra è un grande, sempre di buon umore, in campo sembra duro e a volte anche noi non capiamo perché lui è capace di tutto, fa giocate incredibili e nessuno di noi è in grado di capire cosa stia per fare. Ronie è passato di qui e non ha bisogno di presentazioni: chi lo marcava? Capisco la sua voglia di Inter, il suo addio non è stato all’altezza di un grande campione e sa di aver lasciato una grande famiglia».
Grande quanto?
«Grandissima. Qui lo spogliatoio è molto unito e nessuno di noi ha la forza di andare dal presidente a dirgli cosa deve fare. Neppure io che sono il capitano e in dodici anni non mi sono mai permesso una cosa del genere. Sono decisioni che non ci competono e Mancini è uno di noi. Non so se siamo sempre sotto attacco, di sicuro so che continuiamo a tenere tutto aperto perché non abbiamo niente da nascondere».
Attualmente in quanti clan siete divisi?
«Ecco, adesso si scherza, ma la gente legge i giornali e si convince di qualsiasi cosa.

Un po’ siamo anche stanchi, ogni tanto vediamo titoli assurdi, spogliatoio diviso, giocatori che entrano ed escono dall’ufficio di Moratti. Non è così facile ve lo assicuro. Tra noi invece c’è molta fiducia, c’è il piacere di sentirsi utili e questo ci dà tranquillità».
Ma adesso vincete anche qualcosa?
«Quest’anno sì».

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