«La mia proposta era giusta ma qualcuno ha imbrogliato»

L’autore dell’articolo contestato: «Il documento che ho presentato tempo fa aveva quattro commi e non uno solo»

da Roma

È stato definito l’emendamento della vergogna, la norma salva-ladri, lo strumento con cui realizzare surrettiziamente un vero e proprio colpo di spugna. Ma Pietro Fuda non ci sta. E torna a chiarire che i responsabili vanno ricercati altrove, dentro quell’Unione in cui mancano le «tentazioni giustizialiste».
Senatore Fuda, facciamo chiarezza una volta per tutte: lei è o non è l’estensore del comma?
«No, è una falsità sostenerlo. Non sono certo io che ho fatto l’imbroglio. Il comma 1346 del maxiemendamento non corrisponde all’emendamento da me proposto molto tempo fa. L’emendamento che porta la mia firma si componeva di 4 commi e non di uno solo. Se riportati per intero avrebbero escluso l’ipotesi di un colpo di spugna in materia di responsabilità contabile».
Ha mai avuto la sensazione che qualcuno volesse scaricare la responsabilità su di lei?
«Io dico che è abnorme perfino sospettare o insinuare la mia partecipazione alla presentazione nella Finanziaria del comma».
Qualcuno ha insinuato una sorta di suo interesse personale nella vicenda.
«Sono un ingegnere, non ho procedimenti aperti contro di me e non ne avrò in futuro. Qui bisogna capire che ci sono casi di persone appese per 28 anni all’attesa di una sentenza. Purtroppo in politica si fa tanta demagogia. Poi in realtà tanti parlamentari sono venuti da me a dirmi che senza un provvedimento di questo tipo si finisce nelle mani dei giustizialisti. Ho ricevuto tante lettere di magistrati che mi dicono che il mio emendamento è un atto di civiltà giuridica e un passo in avanti verso il giusto processo».
La sua proposta, nella versione originaria, cosa prevedeva?
«La proposta si riferisce a una ipotesi limitata (quella della sola responsabilità indiretta) e punta a rendere più severo ed effettivo l’intervento della magistratura contabile. Oltre a chiarire i termini della prescrizione prevede l’obbligo per ogni pubblico ufficiale di denunciare immediatamente alla procura della Corte dei Conti ogni fatto che possa essere produttivo di danno erariale, con la possibilità di perseguire chi omette tale denuncia. E ciò dimostra non un invito al lassismo, ma un inasprimento dell’attività diretta alla identificazione e sanzione degli illeciti contabili».
Cosa risponde a chi la accusa di voler introdurre una prescrizione breve per i reati contabili?
«Ma quale prescrizione breve. La prescrizione era e rimane la stessa, fissata in 5 anni, solo si è prospettata la necessità di impedire che (per i casi rilevanti che sono solo quelli di danno indiretto) la prescrizione quinquennale diventi (per effetto di una mera interpretazione) a tempo indeterminato e superi anche i dieci o i venti anni. Piuttosto sono le Procure e le sezioni giurisdizionali regionali della Corte dei Conti che dovrebbero aumentare la loro produttività».
Lei ritiene che la Corte dei Conti faccia fatica a fornire risposte adeguate al problema?
«Le faccio un esempio: la Calabria. La sezione regionale della Corte dei Conti tiene solo 21 udienze l’anno ed emette meno di 50 sentenze di condanna in materia di responsabilità (precisamente 35 nel 2002, 46 nel 2003, 38 nel 2005 e 33 sentenze di condanna nel 2006). Potrebbero essere interessati dalla prescrizione oltre 380mila procedimenti per responsabilità dinanzi alla Corte dei Conti. Ma se tale dato fosse vero c’è da chiedersi quanti secoli occorrerebbero per smaltire tale numero».
È rimasto deluso dall’atteggiamento avuto dalla sua parte politica su questa vicenda?
«La battaglia si è spinta molto al di fuori del seminato. La decorrenza deve avere un termine, non può essere infinita perché qui si ha a che fare con i problemi reali dei cittadini, con la loro vita.

Credo che molti politici abbiano perso il contatto con la realtà. A sinistra c’è un problema di autoreferenzialità, molti credono di godere di un diritto divino a fare politica. Io chiedo a tutti di svegliarsi perché qui finiamo in pasto ai giustizialisti».

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