di Nino Materi
Macché attrice. Sandra Milo è «un'operaia che lavora in fabbrica» (la definizione è sua). Ma per lei - 86enne con un grande avvenire dietro le spalle - «pensione» è una parola senza senso. Del resto, avete mai visto un'icona del cinema andare in quiescenza?
Salvatrice Elena Greco, nata a Tunisi l' 11 marzo 1933, viene ribattezzata «Sandra Milo» dopo un servizio fotografico per un rotocalco che ha come set la città di Tivoli; il titolo del reportage è: «La Milo di Tivoli». Perfetto per un nome d'arte. Da «Tivoli», la fama «Milo» si espande nel resto d'Italia. E in breve tempo non c'è maestro del «ciak, si gira» che non decida di lavorare con lei. Rimanendone stregato.
Il segreto del suo successo? Un mix di «allocchitudine» (finta) e sensualità (vera): l'ideale di donna così come ogni uomo lo sogna. Non si è mai fermata «Sandrocchia» (soprannome di cui Fellini ha il copyright). Solo a nominarlo, si commuove: «Il mio Federico». Ma pure il suo «Bettino» (Craxi). Ma anche il suo «Jorge» (Ordonez, presunto «colonnello dell'esercito cubano»): un falso matrimonio, precursore della moderna fake news nuziale tra Pamela Prati e Mark Caltagirone. E poi tanti altri amori, più o meno strani, fino all'ultimo: un signore di 49 anni di nome «Alessandro», spuntato al suo fianco sulla passerella del Lido di Venezia.
Love story a parte, i «tumulti» della Milo abbracciano l'intera esistenza di una donna generosa con tutti. Forse anche con chi non lo meritava. E che ha finito col metterla nei guai.
A proposito di guai, ma è vero che ha un debito di tre milioni di euro col fisco?
«Sì. Anche se negli ultimi tempi la cifra si è ridotta grazie alla rottamazione».
Di quanto?
«Ci siamo messi d'accordo per 800mila euro».
Ma lei li ha questi soldi?
«No, anche perché tutti i miei guadagni sono stati pignorati».
E allora come pensa di uscire da questa situazione?
«Non le nascondo che ho pensato anche al suicidio. Ma è stato solo un attimo di buio. Poi è tornata la luce. E mi sono detta: Sandra, devi reagire. E mi sono rimboccata le maniche».
Adesso è tornata in Rai con una striscia quotidiana, il pubblico ha dimostrato di volerle ancora bene.
«È vero. L'affetto che mi circonda mi ha dato l'energia per rialzarmi».
Scusi l'insistenza, ma come ha fatto ad accumulare un debito così mostruoso?
«Negli anni mi sono fidata di persone sbagliate. Che hanno commesso una serie di errori. Non so se in buona o cattiva fede».
«Tre milioni» di evasione presuppongono guadagni stratosferici, roba degna di Ronaldo o Messi...
«Appunto. Questa è la prova che l'erario, nel mio caso, ha fatto conteggi fuori da qualsiasi logica. Assurdità che possono portare a conseguenze estreme».
Cioè?
«Penso a tanti miei colleghi che, pur non lavorando da anni, continuano a ricevere dallo Stato richieste di tasse esorbitanti. È lo stesso meccanismo che ha portato tanti imprenditori a togliersi la vita. Ma guai a cedere allo sconforto. Invece bisogna combattere».
Come sta facendo lei.
«Mi sono affidata a un bravo commercialista. Ma se ogni mio cachet professionale viene preventivamente pignorato, come farò mai a uscire da questo incubo?».
Il momento è difficile. È per questo che ha deciso di trovare conforto nella poesia?
«L'editore Morellini mi ha dato fiducia. E così è nata la raccolta di poesie Il corpo e l'anima: un viaggio nel mio universo di sentimenti, desideri, dolori e rimpianti».
Tra i versi emerge anche un tributo per Marina Ripa di Meana.
«Una donna eccezionale. Combattiva. Che non si è arresa mai. Un'amica che ancora oggi mi riempie il cuore».
Sul retrocopertina del libro lei appare in foto sensuale e avvolta in un vestito rosso. Ha la barba lunga e in testa indossa una tiara dorata. Perché?
«La risposta è nei versi sottostanti: E venne il giorno che vestita a festa avvolta di luce ti corsi incontro per sussurrarti ora e sempre nel tramonto».
Una poesia è dedicata anche alla tragedia dei profughi.
«Non possiamo rimanere indifferenti davanti al dramma umano di chi soffre. Anche noi italiani siamo stati un popolo di migranti. Le barche alla deriva di oggi, con il loro carico di disperazione, sono realtà che devono interrogare le nostre coscienze».
Passiamo ad altro. Non è stufa di essere sempre dipinta come l'«amante di Fellini»?
«Ma scherza? Essere stata per 17 anni al suo fianco mi riempie di orgoglio. Lui era un genio. La relazione ha funzionato perché il nostro rapporto clandestino era l'opposto della convenzionalità matrimoniale».
Lei, la prima volta, si sposò a 15 anni.
«A ripensarci mi sembra una follia. Il matrimonio con un marchese. Accade nel 1948».
Era incinta.
«Il bambino morì alla nascita a causa di un parto prematuro . Mi separai dopo soli 21 giorni dal matrimonio, ottenendo l'annullamento dalla Sacra Rota ».
Nel 1955 l'esordio al cinema accanto ad Alberto Sordi nel film Lo scapolo.
«Ho avuto il privilegio di recitare con i più grandi attori e registi. Una fortuna oltreché una gioia. Erano anni in cui il cinema era qualcosa di speciale, faceva sognare ».
Il rapporto con gli uomini non è sempre stato facile. Lo si capisce leggendo la sua poesia «Un uomo».
«C'è un verso che dice: Perché non posso toccare il tuo braccio senza farti infuriare?».
Che cosa vuole dire?
«È la denuncia di una relazione uomo-donna che oggi è diventata problematica anche per colpa di certe forme di esasperato femminismo. Io ho due figlie e mi dispiace notare come oggi le donne non sempre abbiano un dialogo equilibrato con l'altro sesso. Li abbiamo spaventati questi uomini. Contribuendo, forse, a renderli più insicuri e distanti».
Lei non ha risparmiato parole critiche anche nei riguardi del movimento #metoo.
«Ogni forma di violenza è odiosa e va condannata. Ma nel caso dello scandalo Weinstein credo che le donne coinvolte fossero perfettamente in grado di reagire alle sue avance. Se le hanno invece accettate, non possono poi - dopo anni - lamentarsi. Se consideri un produttore il tuo aguzzino, poi non accetti di fare un film con lui».
Lei si è mai trovata in situazioni simili?
«Io un produttore, Moris Ergas, l'ho sposato, ma per amore. Poi abbiamo divorziato».
Lei era tra le stelle «maggiorate», chissà quanti «weinstein» le ronzavano attorno.
«Essere molestata è molto diverso dall'essere corteggiata. La prima cosa è inaccettabile, la seconda è piacevole. Mi sono sempre fatta rispettare. E non avrei mai accettato di lavorare con chi mi avesse mancato di rispetto».
Ma è vero che sul set aveva remore a baciare i suoi partner artistici?
«Il bacio, per me, è la forma di condivisione più intima. Il bacio è l'incontro di due corpi, ma anche di due anime. Non è un caso che abbia scelto questa immagine come titolo della mia raccolta di poesie».
Strano discorso per un'attrice, che dovrebbe essere abituata a «sopportare» scene ben più impegnative.
«Lo so. Ma dinanzi ai baci mi bloccavo. In un film un grande attore ci rimase male».
Nome del grande attore?
«Ugo Tognazzi».
Titolo del film?
«Totò nella Luna. Il regista era Steno. Gli dissi: Io questo bacio non lo do. Allora intervenne, stizzito, Tognazzi».
Dicendo?
«Guardi, signorina, che io i denti me li lavo col dentifricio».
Era il 1958, l'anno dopo avrebbe girato Il generale Della Rovere, con Roberto Rossellini.
«Nel 1961 arrivò poi, sempre con Rossellini Vanina Vanini, primo film da protagonista assoluta. La critica fu durissima. E io mi ritirai dalle scene».
Ma Fellini la riportò davanti alla macchina da presa nel '64 in 8 e mezzo: il film vince l'Oscar e lei il primo Nastro d'argento.
«E dire che era nato tutto casualmente, dopo aver sostenuto un provino sui generis. Forse il più originale nella storia del cinema».
Ce lo descriva.
«Avevo giurato di non recitare più. Ma Fellini insisteva. Federico aveva già vinto l'Oscar nel 1958 con Le notti di Cabiria e nel 1962 con La dolce vita. Su di me esercitava un fascino irresistibile».
E così si fece convincere. Ma torniamo al provino...
«Un provino a domicilio. Lui mi dice: Ce l'hai una chitarra?. E io: No, ma ho un gatto di peluche. E Federico: Prendilo in braccio e accarezzalo, motore, azione!».
Per Fellini reciterà ancora in Giulietta degli spiriti nel 1965, film per il quale le verrà assegnato il secondo Nastro d'argento.
«Interpretavo tre diversi personaggi, tutti rappresentativi della bellezza e della sensualità femminile. Fin da allora, nei momenti di pausa, o di notte, presi l'abitudine di scrivere pensieri intimi, versi, poesie. Il foglio bianco mi ha sempre attratto, vivendolo come una prosecuzione del mio corpo e della mia psiche».
Una carriera di 64 film, televisione, teatro. Eppure viene ricordata da tanti per lo «scherzo di Ciro». La telefonata in diretta durante il programma Rai che stava conducendo: Sandra, che fai lì? Ciro è ricoverato al San Giovanni. È grave. E lei che fugge dallo studio urlando: Cirooo, o Dio!.
«Era l'8 gennaio 1990. Scoprimmo che l'autrice dello scherzo, Maria Ramondio, si era presentata con una falsa identità, mentre il numero di telefono dal quale proveniva la telefonata era associato all'utenza degli uffici Alemagna di Roma. La telespettatrice si presentò alle addette al centralino con la scusa di volermi chiedere per quale motivo non mi fossi mai più risposata in seguito al mio divorzio».
La vera responsabile dello scherzo non fu mai scoperta.
«No. Ma, dopo tanto tempo, l'ho perdonata».
Guai a rimanere ancorati al passato.
«Io guardo al futuro. Anzi, mi piacerebbe cambiare lavoro».
E fare cosa?
«La contadina».
Mestiere poetico, ma si guadagna poco.
«Vero. Forse è meglio la televenditrice».
Lei, alla sua età, guarda a nuovi orizzonti professionali. Tutto il contrario di chi si accontenta del reddito di cittadinanza.
«Chi è in difficoltà va aiutato. Ma l'elemosina di Stato non fa per me. Il mio motto è: Il futuro è adesso».
Il suo impegno politico si è esaurito nella parentesi socialista?
«Oggi non vedo leader carismatici, ma solo figure di scarso rilievo. Ci vorrebbe un cambio di passo».
Altri cambiamenti in programma?
«Sì, di sesso».
Di «sesso»?
«Niente di chirurgico, ma di teatrale. Mi sto preparando infatti a interpretare in teatro il ruolo di un omosessuale che si traveste da drag queen esibendosi in spettacoli sexy».
A proposito di
«sexy», nel 1995 ha dichiarato a una televisione privata iraniana di avere una collezione di 60mila mutandine.«Non le ho mai contate. Ma la confessione fu sufficiente al governo di Teheran per negarmi un visto turistico».
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