La mia Turchia ancora senza libertà

La questione della laicità viene usata come alibi dai nazionalisti e dall’esercito per mantenere la popolazione sotto uno stretto controllo. Lo stesso partito del premier si è scavato la fossa usando per i suoi scopi le leggi liberticide

La mia Turchia ancora senza libertà

Sebnem Isiguzel

La Turchia è un paese che dovrebbe provare vergogna: nel 2008 non è ancora uno stato democratico. È un paese che si adopera in ogni modo per avvelenare la storia con le menzogne, proteggendo la laicità con il velo sotto la parrucca e facendo seguire colpi di stato a colpi di stato.

Chiariamo innanzitutto questa storia della vergogna: quale paese al mondo è senza vergogna? Il problema del mio paese rispetto ad altri, risiede nell'aver paura di guardare in faccia questa vergogna. Ci sono questioni che tutto il mondo accetta, salvo il mio paese. L'impero ottomano, che della Turchia è l’origine, ha mandato in esilio, impiccato e giustiziato delle persone ritenute responsabili del genocidio armeno. Oggi i nazionalisti non vedono questi crimini scritti nella loro storia, nei firman. Si dicono l'un l'altro: «Non guardare da quella parte, guarda dall'altra», lo dicono sussurrando e guardando l'orizzonte, guardando la menzogna che afferma che «gli armeni hanno tradito i turchi nel 1915». In Turchia di questi argomenti si è appena cominciato a discutere. E ad ogni dibattito si uccide un uomo con la coscienza pulita. I nazionalisti, tra cui si trovano anche militari, hanno ucciso Hrant Dink per questo motivo. Un'altra vergogna per la Turchia è la questione curda. Altra vergogna ancora sono i colpi militari e gli ultimatum.

In qualche modo la Turchia non riesce a crescere e a salvarsi dalla brutalità di suo padre - il nostro padre esercito -, dalla brutalità dei colpi di stato. La questione del velo, ad esempio, si è ampliata a un punto tale da includere la chiusura dell'Akp. Appena si parla del velo ricordo immediatamente un episodio: circa dieci anni fa, una giovane che non era stata ammessa all'esame all'università a causa del velo, colta da una crisi di nervi, ha cominciato a piangere, a gridare; si è tolta il velo e l'ha gettato via, malgrado le altre amiche velate la supplicassero di non farlo, ed è entrata in lacrime a sostenere l'esame. Di fronte a tale disperazione guardando la notizia in tv mi sono commossa. In quegli anni il Partito di Refah non ha trovato una soluzione né per il velo né per la democrazia. Il 28 febbraio 1997, con un colpo di stato postmoderno, è stato spazzato via.

Nel 2002 è iniziato il potere dell'Akp. La moglie del primo ministro indossa il velo, ma il velo all'università è ancora vietato. L'Akp per il velo non ha fatto niente. Il principio della laicità è protetto con l'artificio della parrucca sotto la quale le ragazze indossano il velo per andare all'università. Il primo ministro Recep Tayyip Erdogan non porta con sé ai ricevimenti ufficiali sua moglie che è velata. La libertà concessa alla moglie del capo di stato maggiore, che ha il capo scoperto, non è data alla moglie del primo ministro, che legge «Guerra e Pace» di Tolstoj, ma che non può accompagnare suo marito nei ricevimenti pubblici a causa del velo. È contro i diritti umani!

Ma il primo ministro non è preoccupato quanto me. Se l'Akp fosse stato più generoso sul piano delle libertà e dei diritti, non si sarebbe scavato una tomba così profonda.

Il velo in Turchia avrebbe dovuto essere da tempo libero, perché il velo stesso rappresenta la libertà. Molte ragazze giovani posso uscire di casa facilmente indossando il velo, tutelano i propri diritti. Le ragazze con il velo, ricevendo un'istruzione negata alle loro madri e alle loro nonne, troveranno posto in ambito pubblico e sociale, rendendo folli di rabbia i laici. Questa è una lotta di classe. I laici hanno paura di perdere potere. Le donne velate portano un lutto a scoppio ritardato. È il lutto delle donne velate che la Repubblica ha imprigionato in casa. Sono i problemi nascosti di un paese la cui storia non si scrive e di cui non si parla apertamente.

La cultura e la visione del mondo dell'Akp non corrisponde alla mia. Non indosso il velo. Non sono favorevole a coprirmi la testa. Ma penso che sia necessario lasciare la libertà del velo nei luoghi pubblici e all'università. Non ho paura della sharia, ma dei colpi di stato. Non ho paura della sharia ma del conservatorismo. Non ho paura della sharia ma del nazionalismo. Poiché nel mio paese abbiamo paura della sharia, che è mostrata come uno spauracchio, non facciamo altro che invitare così gli «uomini neri» a mangiarci. Non temete, anche gli uomini neri, di cui ho paura, hanno a loro volta paura di qualcosa: Youtube! Per capirlo bisogna essere turchi: Youtube, ma anche Google, in Turchia sono i siti che vengono chiusi e vietati più spesso.

In Turchia si deve prima di tutto instaurare la libertà. Immaginate una calamita enorme al centro di un tavolo. Poi immaginate le condizioni più basilari della democrazia che volano dritte verso la calamita: il fatto che essere armeno non sia una vergogna e un insulto, che i curdi possano parlare curdo, che esista il diritto, che tutti gli esseri umani siano uguali, che le bambine possano accedere all'istruzione senza bisogno della campagna pubblicitaria «Papà mandami a scuola», che i militari non si mescolino alla politica, che pensare non sia un crimine, che ci sia uguaglianza nella distribuzione dei guadagni, che ci sia la libertà di velo.

Quello che Akp avrebbe dovuto fare appena arrivato al potere, era mettere l'enorme calamita al centro del tavolo. Adesso è lo stesso partito di maggioranza ad aver bisogno più di tutti di democrazia e di libertà. Con il mancato rinnovamento della costituzione e con la legge che serve a chiudere i partiti e che oggi viene usata per chiudere il partito curdo, Akp si è scavato con le sue mani una fossa profondissima.

Fino ad oggi era il nostro padre esercito a decidere quanta democrazia si potesse mettere sul tavolo. Coloro che hanno fatto il colpo di stato più sanguinoso in Turchia, i cosiddetti «pascià nonnetti», sono amati come se avessero offerto al paese dei giorni belli e gradevoli. La Turchia non riesce a tenere il conto dei colpi di stato.

Come si ama un paese? Con le sue vergogne, le sue fierezze, menzogne, vittorie... Dobbiamo imparare nuovamente a farlo. Un ultimo augurio ancora: magari la democrazia e la libertà potessero arrivare all'improvviso come i goal imprevedibili della squadra di calcio turca. Ma per questo prima dobbiamo scendere dalla collina della sozzura, pulirci, essere padroni di una storia secolare immacolata.

In Turchia, nelle favole, per le cose impossibili si dice che si trovano «dietro la montagna di Kaf». In Turchia la democrazia è dietro la montagna di Kaf e non ci si va né con il fucile né con carri armati, né con le sentenze che cercano di chiudere l'Akp.
(traduzione di Elettra Ercolino)

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