Gian Marco Chiocci
da Roma
I vecchi sbirri, con un certo disgusto, lhanno ribattezzato Mobil-gate: è il giallo delle microspie scoperte negli uffici della Squadra Mobile di Roma. Un episodio gravissimo, senza precedenti nella Capitale. Pur senza sapere chi, e come, ha azionato i microfoni in un così delicato ufficio di polizia, la spy story romana un risultato lha già raggiunto: ha rinvigorito gli attriti fra la procura e la questura sorti allindomani dellarresto - che nei corridoi della Mobile definiscono a dir poco frettoloso - di alcuni poliziotti per questioni di droga. E proprio alla sezione Narcotici, al secondo piano dello stabile di via Genova, è saltata fuori una «cimice» perfettamente funzionante, di sofisticata tecnologia. La microspia era nascosta in una «presa multipla» di corrente che venerdì scorso è stata scoperta per caso grazie a un vecchio scanner azionato per gioco da un ispettore di polizia (interrogato nel pomeriggio dal pm De Martino). Il rinvenimento dellapparato di registrazione ha creato, ovviamente, sconcerto e frustrazione fra gli uomini che ogni giorno rischiano la pelle. Ovunque è scattata la caccia alla «cimice», ogni stanza è stata passata al setaccio, «bonifiche» sono tuttora in corso. Nessuno parla più alla luce del sole. Si è saliti finanche sul tetto della Questura dove tempo addietro qualcuno aveva notato un transponder che ieri, però, non è stato più trovato.
In ambienti investigativi si è avuta conferma che nessuno dei vertici della questura - come di prassi avviene in circostanze delicate come le indagini sui poliziotti - sarebbe stato allertato dallautorità giudiziaria. Né il questore, Marcello Fulvi né il capo della Mobile, Alberto Intini, e neppure i funzionari responsabili delle singole sezioni. Nessuno. Proprio per questo il numero uno della Squadra Mobile capitolina ha inviato uninformativa urgente al procuratore capo, Giovanni Ferrara, chiedendo lumi e denunciando lintercettazione abusiva. A sua volta, la procura di Roma avrebbe negato la «paternità» dellintrusione in questura e dellinstallazione della microspia lasciando aperte due piste alternative: o lintervento di un altro ufficio giudiziario italiano oppure laccesso illegale ad opera di soggetti sconosciuti. Sia come sia, la tensione è alle stelle. Gli accertamenti interni stanno puntando a ricostruire, attraverso i badge e i pass dingresso, chi è entrato in questura, quando, e in quale stanza ha avuto accesso. Si sta poi cercando di capire sia se possa esistere un poliziotto che possa aver fatto da «cavallo di Troia» alla squadra di intercettatori venuti da fuori, sia se si possa risalire allorigine della «cimice» attraverso la matrice numerica evidenziata dalle foto della Scientifica.
I sindacati di polizia, intanto, scaldano i muscoli: «È un fatto molto serio - spiega Giuseppe Tiani del Siap - ma prima di agitarsi occorre capire bene come stanno le cose. Se si tratta di unintercettazione illegale vanno trovati immediatamente i responsabili». Alza la voce Domenico Pianese del Coisp: «Mi risulta che sono state trovate microspie anche in alcune auto di servizio. La cosa è gravissima. Auspichiamo che venga fatta piena luce affinché nessuna ombra resti sulla Mobile che lavora con impegno e abnegazione». In questura ci si interroga se lepisodio della microspia possa effettivamente ricollegarsi allinchiesta dellaprile scorso sulle «deviazioni» al commissariato Trastevere che, in seconda battuta, portò allarresto di tre poliziotti della Squadra Mobile rimasti sei mesi in carcerazione preventiva in condizioni di completo isolamento. Non è difficile sentir parlare di «accanimento» per uninchiesta basata sulla chiamata in correità di un poliziotto di Trastevere che sè pentito subito dopo larresto.
gianmarco.chiocci@ilgiornale.it
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.