Franco Ordine
nostro inviato a Monaco
Venti anni fa cambiò la vita dei milanisti. Giusto venti anni fa una telefonata trafelata di Cesare Cadeo alle redazioni dei giornali annunciò la firma del contratto e lingresso trionfale di Silvio Berlusconi alla guida del Milan. «Allora io ero dirigente del Monza e mi toccava giocare col Milan in serie B», ricorda Adriano Galliani. «Il primo anno festeggiammo lo spareggio Uefa vinto contro la Samp come un successo strepitoso, oggi non potremmo entrare a Milano con lo stesso risultato», aggiunge sempre Galliani per sintentizzare cosa è successo, di unico e forse anche di irripetibile, nello spicchio di tempo così piccolo. Basta una parola, forse: una grande rivoluzione. A venti anni precisi da quellannuncio il Milan di Silvio Berlusconi è ancora qui, nel bel mezzo dellEuropa calcistica, a raccogliere nuove sfide. Accompagnato dallaugurio del Premier che avrebbe voluto dedicare un pensiero particolare a Kaladze. Ha raccontato da Roma: «Volevo abbracciarlo per la morte del fratello. Ma ho dovuto rinviare la visita a Milanello. Appena possibile lo farò».
Venti anni dopo quel passaggio di consegne che lo sottrasse al fallimento e a un misero destino, il Milan si ritrova a Monaco, capitale di Baviera, sede della partita inaugurale del prossimo mondiale, dentro il catino dellAllianz Arena, come lo chiamano da queste parti, costo 370 milioni di euro, per conquistare laccesso ai quarti di finale. Persino lauricolare col quale si presenta larbitro, il belga De Bleeckere, testimonia il cambiamento di tutto il calcio continentale. Non solo del Milan. Che stasera deve misurare le sue ambizioni dichiarate e la sua precaria fortuna in campionato con larmata storica del Bayern, prima della classe in Bundesliga, battezzata da Fabio Capello, una delle finaliste. «Spero che si sbagli», corregge Carlo Ancelotti senza perdersi in particolari macumbe. Altri avrebbero convocato sul posto stregoni, spilloni e bamboline. Il pronostico del condottiero juventino non è poi una provocazione, semmai il riconoscimento, postumo, del valore misurato nel girone precedente. Il Bayern, in Europa, è lunico rivale che ha messo al muro la Juve, prendendola a sberle. I segni sono rimasti, a Torino. E stasera, spinta dalla carica di Magath, il suo tecnico, e dai giudizi dissacranti di Rummenigge («Hanno una difesa vecchia, è il loro punto debole»), il Bayern è pronto a ripetersi. Fidando sui numeri (13 successi su 13 nei precedenti incontri domestici della stagione tra campionato e coppa), sul probabile recupero del guerriero Kahn in porta e sulla guida di Ballack che rappresenta una virtuosa eccezione. Il capitano della nazionale e della squadra simbolo di Baviera ha il contratto in scadenza, si prepara a traslocare ma nessuno che si azzardi a farne un tormentone. «Devessere desempio per noi in Italia, insieme noi due possiamo giocare, lo vorrei al Milan», sostiene Kakà, il più in forma, chiamato per la prima volta a misurare il suo talento con le responsabilità di una notte mondiale, molte le attenzioni specie sulle sue caviglie. «Ci devono pensare gli arbitri», segnala il brasiliano, impressionato come tutto il Milan dal crac di Totti. «Ho visto 100 volte in tv linfortunio», confessa Shevchenko recuperato dalla fastidiosa tallonite insieme con Stam e Pirlo. A proposito di Totti, ecco la curiosità: il Milan vuole ingaggiare Christian Poulsen, il danese a cui il Pupone sputò durante gli europei. Ariedo Braida ha incontrato il procuratore offrendo 2,4 milioni di euro a stagione al giocatore che si svincolerà a luglio dallo Schalke 04.
Stasera, invece, gioca il miglior Milan possibile, due attaccanti ispirati da Kakà, difesa senza Maldini. Ancelotti non è il tipo da inseguire avventure. Quattro anni fa, nellaltro stadio, Inzaghi si regalò un memorabile uno-due sul Bayern (con Dida paratutto), molti anni prima toccò a Borgonovo firmare il sigillo decisivo: il Milan è guardato con rispetto, monopolizzati i titoli sui giornali, con le Olimpiadi ridotte in un cantuccio, esauriti i biglietti. Vale quasi una finale questo ottavo di Champions. E cè chi sinterroga sul destino di Ancelotti, nel caso dovesse mancare il bersaglio. «Sono pronto a dimettermi», detta Carletto con dolente ironia.
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