Milano piange sul suo declino e si interroga attraverso i grandi quotidiani nazionali sul perché della crisi e sul modo, qualora ci sia, di risollevarsi dalla decadenza. Coloro che vengono convocati al capezzale del malato affrontano il problema con categorie minime, come la disattenzione amministrativa, la disaffezione e legoismo dei milanesi, lindifferenza del governo che non dà a Milano quello che dovrebbe spettare a Milano. Sono considerazioni inutili e valutazioni scontate che hanno un solo significato, quello di non cogliere il problema storico.
In questultima quindicina danni si è disgregata la struttura politico-economica dello Stato nazionale che organizzava in forma dualistica il rapporto Roma-Milano: nella capitale la politica, nel capoluogo lombardo leconomia. Questo dualismo salta, non esiste più: Roma non è più chiamata a competere con Milano e viceversa.
Ma Roma ha capito da tempo che lo scenario internazionale ha cambiato sostanzialmente, da oltre un decennio, il ruolo politico ed economico dellItalia e, di conseguenza, il ruolo delle sue importanti città e si è attrezzata con intelligenza alla nuova sfida; Milano non è ancora arrivata a capirlo e rimpiange in modo per metà ottuso e per metà patetico i begli anni Cinquanta.
Il crollo del comunismo sovietico, la fine della Guerra Fredda, la realtà della nuova Unione Europea chiudono per sempre la fase del protezionismo economico italiano con cui lo Stato stabiliva le regole dello sviluppo economico, difendendolo dalla concorrenza internazionale. Questo controllo dava la possibilità allo Stato di assegnare una missione alle aree produttive del Paese e, quindi, di attribuire anche alle città una funzione specifica sullo scacchiere nazionale.
Sia per la sua storia millenaria, sia per la sua vocazione mondiale, sia perché lì cera la testa del capitalismo di Stato e il cuore della tradizione politica, Roma comprende alla svelta che la concorrenza è ormai mondiale, che la storica competizione con Milano è diventata provinciale. Un esempio spicciolo di oggi: la festa romana del Cinema.
A Roma non interessa confrontarsi con la Mostra del Cinema di Venezia o con il mercato cinematografico milanese che non a caso non ha retto e ha chiuso i battenti. Il confronto è con il mondo: il cinema è una grande industria, e Veltroni lancia la sfida alla concorrenza internazionale.
Milano dovrebbe finirla con i suoi piagnistei e incominciare a pensarsi in Europa, darsi una strategia in sintonia con la visione federalista della Regione Lombardia tale da aiutare il complesso dellarea milanese ad accettare la sfida europea. E i grandi quotidiani milanesi dovrebbero sostenere questo compito e non chiudersi nel giochetto nazionale con cui si sottolinea che a Roma ci sono quattro teatri in più e a Milano uno che chiude, nella capitale un aeroporto che aumenta il traffico mentre nel capoluogo lombardo ce nè uno in deficit. La Malpensa? Competa con gli aeroporti di Zurigo e Francoforte, non con Fiumicino, perché se Milano e la sua area si restringono al confronto nazionale, Roma vincerà sempre in quanto, da tempo, si è pensata con una visione mondiale.
Piangere perché a Milano si chiude un teatro del centro e si apre una multisala in periferia, è ridicolo. Anzi: il decentramento può solo far bene. Si dia piuttosto una vocazione al suo centro, e si incominci a pensare che una vetrina a Milano deve diventare una vetrina sul mondo. Una vetrina sono le sue istituzioni culturali: la Scala, il Piccolo Teatro per decenni hanno lavorato per dare un contributo alla cultura nazionale; ora pensino di competere con la cultura e lo spettacolo europeo. A Milano cè un polo universitario di grande interesse: gli si dia forza, lo si integri nella città, si faccia finalmente la biblioteca europea che può diventare un collettore mondiale della ricerca scientifica.
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