«Milano? È governata come Dio comanda» Piermaria Piacentini, romano e presidente del Tar, all’inaugurazione dell’anno giudiziario confessa ammirazione per le capacità amministrative della città: «Vedo il gusto di far bene il proprio mestiere»

Inaugurazione dell’anno giudiziario del Tar, il tribunale amministrativo della Lombardia. Alla fine di una cerimonia un po’ bizantina, a base di latinorum e di salamelecchi istituzionali, i cronisti salgono per puro senso del dovere nella stanza di Piermaria Piacentini, presidente del Tar medesimo. E accade l’imprevisto. Perché invece di un’altra raffica di dati statistici si trovano davanti un alto magistrato che, in bretelle e attaccato alla sigaretta, dichiara il suo amore per Milano.
É l’amore di un romano che dice «Roma è bellissima e mignotta, e Milano è una signora elegante». Sul tavolo di Piacentini passano migliaia di delibere della Regione, delle province, dei 1547 Comuni grandi o infinitesimali sparpagliati tra la Valtellina e il Po. Lui, che ha il compito di controllarli, dice che con quegli atti si potrà essere d’accordo o non d’accordo, ma - perbacco - sono fatti come Dio comanda. Alla milanese. E ricorda ai lombardi la fortuna che hanno ad essere amministrati così: «Merito di due secoli di dominazione asburgica che vi hanno dato una inquadratura notevole, suppongo».
Per spiegare il suo amore a prima vista racconta un aneddoto: «Ero a Milano da due giorni. Entro in un bar di via Borgogna e ordino un gin tonic: Bombay, tanto gin, tanto ghiaccio, poco tonic, gli dico. Il giorno dopo torno e chiedo un gin tonic. E il cameriere mi dice: Bombay, tanto gin, tanto ghiaccio, poco tonic. Dopo un giorno si ricordava di me. Ci vidi il gusto di fare bene il proprio mestiere che mi sembra l’anima di questa città». Ed è lo stesso senso del dovere che ritrova negli atti delle amministrazioni pubbliche. Certo, ogni tanto lo strafalcione ci scappa, «altrimenti noi saremmo disoccupati». Ma in genere «i ricorsi in materia di contratti basati su errori di procedura banali sono quasi spariti. Questo vuol dire che le amministrazioni imparano. Se noi segnaliamo un vizio di forma, non lo ripetono più. Questo per me vuol dire essere amministrazioni che funzionano».
Vi sono, dice, uffici pubblici che se la cavano un po’ meno bene degli altri. Per esempio le Questure, che quando rifiutano i permessi di soggiorno agli stranieri «fanno provvedimenti stereotipati», cioè con lo stampino. «La conseguenza è che noi siamo subissati di ricorsi di extracomunitari, stiamo parlando di molte centinaia di ricorsi ogni anno. E spesso dobbiamo accoglierli perché non sono motivati a sufficienza. Capisco che le questure abbiano molto da fare, ma a volte basterebbe una frase in più a fare la differenza». Arriverà a destinazione, il messaggio del presidente del Tar?
Per il resto, ribadisce Piacentini, siamo di fronte ad enti locali che lavorano bene. «Non dò, si badi, un giudizio politico, non mi compete dire se queste scelte sono giuste o sbagliate. Ma se li confronto con altre realtà italiane a colpirmi è la qualità tecnica di questi atti. Di fronte a un atto formalmente inattaccabile la gente spesso rinuncia a fare ricorso. E infatti al Tar della Lombardia vengono presentati molto meno ricorsi che, per esempio, al Tar della Campania».
Ogni tanto, accade che questi ricorsi tocchino materie importanti nella vita politica di Milano e della sua Regione, e così il Tar finisce in prima pagina. Spesso ratifica le scelte delle amministrazioni pubbliche, «sui grattacieli di Citylife abbiamo dato ragione al Comune al 99 per cento». A volte, invece, le maltratta un po’. È successo, per esempio, alla Corte d’appello, che si è vista smantellare dal Tar (e con parole non leggere) l’ordinanza che aveva escluso il centrodestra dalle elezioni del mese scorso. Si sono offesi con voi, i colleghi della Corte d’appello? «Siamo tutti figli della stessa Chiesa, e sappiamo dirci le cose con il sorriso sulle labbra», risponde Piacentini, e sembra di capire che a palazzo di giustizia non l’abbiano presa benissimo.

Ed è successo anche al governatore Roberto Formigoni, cui il Tar - dando ragione ai petrolieri - ha azzerato la norma che proibiva di riscaldare le case con gli olii combustibili. Formigoni non apprezzò. «Al suo posto mi sarei incavolato anch’io - spiega Piacentini - ma non c’era niente da fare: mancava un passaggio, la delibera era nulla. A volte succede anche qui in Lombardia...».

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