Milano Case ai nomadi, subito: entro il prossimo 12 gennaio il Comune di Milano dovrà mettere a disposizione di dieci famiglie nomadi, attualmente ospiti del campo di via Triboniano, altrettanti appartamenti di edilizia popolare. Lo ha deciso il tribunale di Milano, con un’ordinanza che fa irruzione bruscamente nella complessa vicenda del grande insediamento di nomadi alla periferia nord-occidentale del capoluogo lombardo, da tempo al centro delle proteste dei quartieri vicini e dei piani di smantellamento dell’amministrazione comunale. Nel maggio scorso un accordo firmato alla presenza del prefetto prevedeva che una parte dei nuclei familiari venissero smistati in altrettanti alloggi popolari dismessi, destinati a venire ristrutturati per accogliere i rom. Ma quell’accordo era stato bocciato dal Consiglio comunale di Milano. Ora, il tribunale lo riporta in vigore con effetto immediato: e, nella sua sentenza, il giudice Roberto Bichi accusa senza mezzi termini il Comune di discriminazioni razziali.
La causa tornerà ad essere discussa nel prossimo aprile, ma intanto la decisione del giudice è immediatamente efficace. E altrettanto immediate sono le reazioni: il vicesindaco Riccardo De Corato parla esplicitamente di «sentenza politica», mentre Giulio Gallera - il capogruppo Pdl che lanciò la campagna contro l’assegnazione delle case popolari ai rom - attacca: «Le politiche del Comune di Milano non le decidono i magistrati. Noi faremo ricorso al Tar, ci opporremmo in tutte le sedi perché i rom non abbiano le nostre case». «Se i giudici vogliono fare politica si facciano eleggere, poi vedremo cosa pensano di loro i cittadini», dice Matteo Salvini, capogruppo leghista, che annuncia un presidio di protesta per oggi davanti al Palazzo di giustizia.
Secondo l’ordinanza, la convenzione firmata tra il Comune e alcune onlus alla presenza del Prefetto (nominato dal governo commissario straordinario per l’emergenza-nomadi) era un atto che vincolava definitivamente l’amministrazione municipale: anche perché, ricorda il giudice Bichi, subito dopo «i destinatari avevano proceduto alla sottoscrizione dell’accordo di ospitalità temporanea presso gli appartamenti Aler, con contestuale impegno ad abbandonare il sito del campo “Triboniano”». Tali accordi erano stati battezzati «progetti di autonomia abitativa e lavorativa». La Casa della carità» aveva iniziato a ristrutturare gli alloggi. Ma le proteste del gruppo consiliare del Pdl - dopo uno scontro piuttosto aspro in seno alla maggioranza di centrodestra - avevano bloccato tutto. Il 27 settembre era stato annunciata la retromarcia: niente case. Il 25 ottobre, dieci famiglie di etnia rom avevano presentato ricorso.
Ora il tribunale dà loro ragione. Tra le valanghe di critiche che dal centrodestra partono contro l’ordinanza del giudice, un argomento è costante: in questo modo, affermano esponenti del Pdl e della Lega, a venire discriminati sono i cittadini italiani, scavalcati nelle graduatorie per l’assegnazione della casa popolare (che vedono solo a Milano diciottomila famiglie in lista d’attesa). Ribatte Alberto Guariso, legale delle dieci famiglie rom: «Non si tratta di case popolari sottratte agli italiani legittimamente iscritti nelle graduatorie per le assegnazioni, ma di case che grazie a questi accordi saranno ristrutturate con i fondi dell’Unione europea per l’integrazione, che altrimenti sarebbero rimaste a ingrandire l’immenso patrimonio sfitto e degradato dell’Aler».
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