Milano, ieri come oggi il posto giusto per delinquere

Probabilmente, il giorno in cui Milano venne fondata, la gente richiamata dall’evento e venuta da lontano, non trovando parcheggio dovette lasciare il carro sul limitare di qualche foresta... Magari proprio dalle parti dell’attuale piazza Insubria, in quella zona che l’immobiliarista odierno chiama (pro domo sua) «semicentro» e dedicata alla memoria della tribù celtica degli insubri.
Battute a parte, nel patrimonio genetico di questa città c’è qualche cosa di magnetico che attrae chiunque e per i motivi più disparati: fare soldi o carriera, studiare o lavorare, sfondare in politica o nelle arti. Oppure per delinquere. E per uccidere. Grigia per natura, a Milano basta poco per diventare nera, o noir, sempre mantenendo la propria fisionomia dominata da caos e multietnicità, fretta e superficialità dei rapporti umani. Conferma di ciò troviamo in due romanzi lontanissimi per stili e contenuti ma entrambi milanesissimi (anche nell’editore, Rizzoli): La quinta stagione di Piero Colaprico (pagg. 266, euro 17) e Il monaco inglese di Valeria Montaldi (pagg. 460, euro 18,50).
Sulle strade dell’ex capitale morale, il cronista Colaprico ha consumato molte paia di scarpe. Come il suo eroe Pietro Binda, carabiniere a riposo per modo di dire, visto che la quinta stagione del titolo è la sua quinta indagine da pensionato (le altre uscirono dall’editore Marco Tropea). Accanto a lui non c’è più l’anarchico Loris, alter ego letterario di Pietro Valpreda. In compenso Milano è, se possibile, peggiorata. Questa volta el Peder incrocia un vecchio amico d’infanzia riciclatosi come borseggiatore. Lo faccio per amore di una ragazza, spiega Tonino «Pallonetto». Una ragazza che se la sta passando male, rapita da una banda di albanesi specializzati nella tratta di donne e ragazzini. Il caramba dal cuore tenero si lascia coinvolgere al punto da superare la labilissima linea di confine che separa le guardie dai ladri, i buoni dai cattivi. Colaprico ormai va sul sicuro, dipanando le storie di Binda, il personaggio gli è entrato sottopelle e lui lo lascia fare, fidandosi del suo intuito e della sua umanità.
Molta umanità troviamo anche nel monaco benedettino del XIII secolo Matthew Willingtham, che Valeria Montaldi propone per la terza volta, dopo Il mercante di lana e Il signore del falco. Secondo alcuni troppa umanità, visto che il suo amore per una bella lavandaia non si limita a essere spirituale. La Milano del 1246 che ci viene descritta è più piccola della nostra ma altrettanto incasinata. I personaggi, poi, potrebbero essere gli stessi di una trama datata 2006: un consigliere comunale con troppi scheletri nell’armadio, un’ebrea aspirante medico alle prese con l’ostilità ai giudei, un abate tisico pentitosi di una certa operazione finanziaria... Fa capolino anche Guglielma la Boema, in anticipo sui tempi storici.

L’eretica giunse a Milano soltanto negli anni Sessanta del Duecento. Ma in fondo possiamo scusare l’autrice. Del resto, in quella sorta di «albergo Mediolanum» dove la gente va e viene a ciclo continuo, c’è posto per tutti.

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