Milano con l’Ambrogino d’oro celebra gli ottant’anni di Cerri

Sabato agli Arcimboldi la mega festa: e Zecchi vuole offrirgli la presidenza della Casa del Jazz

Milano  con l’Ambrogino d’oro celebra gli ottant’anni di Cerri

Franco Fayenz

Sabato sera, al Teatro degli Arcimboldi, si festeggiano gli 80 anni di Franco Cerri, i 60 abbondanti della sua chitarra e i 20 dell’«Associazione culturale Musica Oggi» di cui Cerri è uno dei fondatori.
Con lui ci saranno - citando per difetto - Enrico Intra, la Civica Jazz Band che compie dieci anni, Tony Arco con gli studenti dei Civici Corsi di Jazz e i solisti Gabriele Comeglio, Roberto Rossi, Emilio Soana, Lucio Terzano, Marco Vaggi e Giulio Visibelli.
Parteciperanno Franco Ambrosetti, Tullio De Piscopo, Claudio Fasoli, Tiziana Ghiglioni, Bruno Lauzi, Dado Moroni, Enrico Rava, Renato Sellani, Rossano Sportiello, Gianluigi Trovesi, Karin Schmidt, Giampiero Boneschi e altri ospiti che non sono musicisti professionisti come ad esempio Piero Angela, notoriamente superappassionato di jazz. L’ingresso è libero fino a esaurimento dei posti.
In pratica è tutta Milano, la sua città, che rende omaggio a Cerri, tanto è vero che interverranno gli assessori comunali all’Educazione e alla Cultura Bruno Simini e Stefano Zecchi per premiarlo con l’Ambrogino d’oro. Zecchi sta progettando la Casa del Jazz presso il Circolo Filologico Milanese di via Clerici, e già non fa mistero di offrirne la presidenza a Franco Cerri.
Che ne pensa, maestro?
Cerri abbozza un sorriso e replica con la voce sommessa, pacata e riflessiva di sempre. «Sa, io non sono un presenzialista. Accetterei al massimo una presidenza onoraria...». È una risposta prudente, perché subito ci saranno confronti con la Casa del Jazz di Roma che funziona bene da tempo.
Maestro, è logico che ai suoi splendidi 80 anni si viva soprattutto dei ricordi di una carriera meravigliosa...
«Un po’ alla volta scopro che tante cose vecchie, delle quali a suo tempo dubitavo, erano invece buone. Non è una lode del tempo trascorso, o una nostalgia. È che sono sempre stato molto critico con me stesso, perciò mi accorgo in ritardo del buono che c’era, se e quando c’era. Adesso ho meno fiducia nel presente, sia in me, sia nei colleghi. Forse cambierò ancora idea, se ne avrò il tempo».
Lei è nato con la musica in casa, come altri artisti?
«No, per nulla. Non ho avuto la fortuna di essere figlio d’arte. Però ho mostrato una disposizione innata per la musica, questo sì, e ho ascoltato molto la radio. Mio padre mi ha comprato la prima chitarra nel 1944 spendendo 78 lire. Ho imparato a suonarla da autodidatta, non mi potevo permettere il Conservatorio. Ma la chitarra offriva vantaggi notevoli con le ragazze che mi piacevano tanto, più dei dolci».
Gli diciamo, sebbene lo sappia, che lui è considerato uno degli ultimi Grandi Autodidatti (con le iniziali maiuscole) del jazz italiano e non solo, insieme con il pianista Renato Sellani e pochissimi altri. Nessuno penserebbe che Franco Cerri, chitarrista insigne, compositore, arrangiatore, lettore a prima vista e insegnante, abbia imparato la musica e lo strumento per conto proprio.
Sorride ancora. «È anche per questo che i punti di riferimento dei miei anni giovanili e della maturità non sono cambiati più di tanto.

Django Reinhardt ed Erroll Garner erano sommi musicisti che non sapevano leggere la musica, e Reinhardt mi ha influenzato molto nel mio periodo formativo. Ho suonato con lui nel 1949. Durante tutto il concerto ho creduto di sognare».
Tanti auguri affettuosi anche da noi, Franco Cerri. E se fosse possibile, ancora ottanta di questi anni.

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