(...) Alla fine la spuntammo noi filoleghisti, e Montanelli fornì a Formentini un appoggio che fu molto importante per convincere una certa Milano a fare il gran salto. Contribuimmo così a salvare la città da una nuova svolta a sinistra, ma non ottenemmo l'amministrazione liberale in cui speravamo. Il sindaco non era il decisionista di cui ci sarebbe stato bisogno, la Giunta si trasformò presto in una porta girevole da cui assessori entravano e uscivano in continuazione e il gruppo consiliare leghista finì con il dissolversi in un mare di contrasti. Quando, quattro anni dopo, a Formentini subentrò Albertini, fu un sollievo per tutti.
Il fatto che Milano non avesse gradito fu dimostrato nelle successive elezioni dalla drastica riduzione del gruppo consiliare leghista, che divenne una specie di appendice non sempre gradita della maggioranza forzista; per giunta, con una o due eccezioni, i consiglieri del Carroccio non erano proprio in sintonia con gli orientamenti prevalenti in città; e anche prima delle intemperanze, ormai usuali, dell'onorevole Salvini, sia durante i due mandati di Albertini, sia durante la prima metà di quello della Moratti, i contrasti non sono mancati. A meno che non cambi del tutto pelle e porti alla ribalta una classe dirigente diversa, più cosmopolita e più comprensiva delle ragioni di una città che, anche grazie all'Expo, vuole rimanere tra le grandi metropoli del mondo, non vedo proprio come la Lega possa andare molto oltre le sue percentuali attuali, fino a porre un'ipoteca sulla poltrona di sindaco.
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