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La Milano di Pisapia e dei salotti arancioni si inchina a Saviano

La Milano di Pisapia e dei salotti arancioni si inchina a Saviano

di Milano Lo aveva annunciato con una certa fierezza fin dal mattino su Twitter: «Oggi alle 18 a Palazzo Marino divento milanese». Ma a ben guardare il conferimento della cittadinanza onoraria sotto la Madonnina è solo l’ufficializzazione di una realtà acclarata. Roberto Saviano ha più amici a Milano che a Napoli. Tanto più ora, da quando è sindaco Giuliano Pisapia. La sinistra arancione, Fabio Fazio e Daria Bignardi che lo ospiterà domani sera per l’esordio delle nuove Invasioni barbariche, Raitre, La7, la Feltrinelli e l’editoria engagé sono qui. È qui il suo inner circle, il suo milieu culturale. Nella Milano di Pisapia Saviano è la star, il fuoriclasse da esibire, lo straniero che vince e fa vincere tutti i trofei.
«Di tutte le cose che mi potevano capitare nella vita, non immaginavo certo di diventare milanese», ha esordito Saviano giustificando l’emozione e diffondendosi in ringraziamenti al sindaco e alle autorità presenti. L’onda lunga della ’ndrangheta invade anche la metropoli lombarda e l’onda lunga di Gomorra vale la conquista di premi e onoreficenze. «Saviano ha speso tutto se stesso nella lotta contro le mafie e la criminalità organizzata», ha proclamato Pisapia. «E ha usato la penna e la parola come armi per costruire una cultura della legalità», ha concluso con una certa retorica ribadendo l’«orgoglio» per l’acquisizione del nuovo, illustre, cittadino.
Con accenti analoghi gli ha fatto eco Saviano: «Io non sono il vessillo di una parte. Le battaglie antimafia sono trasversali per definizione, dovrebbe essere assodato ma non è così». Tuttavia il suo intervento si è presto indirizzato sulla polemica contro una parte della Lega, assente come il Pdl, nella Sala Alessi di Palazzo Marino, gremita come San Siro per il derby. Solo che, come detto, in campo c’era una squadra sola e il tifo era monocolore. Non è bastato che Matteo Salvini, capogruppo in consiglio comunale, impegnato a Strasburgo, avesse detto che «chiunque combatta contro la mafia è benvenuto a Milano. Saviano lo fa parlando e scrivendo, Maroni lo ha fatto arrestando e confiscando miliardi di euro». Proprio il riferimento a Maroni, da lui elogiato per l’operato contro la criminalità organizzata, avrebbe potuto suggerirgli toni più morbidi. Invece, galvanizzato dalla platea, l’autore di Gomorra non si è fatto sfuggire l’occasione per attaccare: «Ho visto che ci sono stati contrasti e che non tutti hanno condiviso il fatto che io diventassi milanese», ha premesso riferendosi al presidente leghista del consiglio regionale lombardo Davide Boni, il quale aveva detto che non sarebbe stato presente. «È un gesto coerente perché quando si va a difendere Nicola Cosentino è molto difficile essere qui stasera». L’ironia di Saviano non ha risparmiato anche altre scivolate leghiste. Come la boutade d’istituire vagoni della metropolitana dedicati ai soli milanesi: «Ora potrei salire anch’io», ha scherzato lo scrittore, «sono un napoletano ufficialmente milanese». Comunque, «sono convinto che Milano sia la più grande città del Mezzogiorno. È da qui che la resistenza alle organizzazioni criminali può partire, ancor più che dal sud. Noi costruiamo anticorpi che il mondo intero ci verrà a chiedere. Il nostro know-how antimafia è il migliore al mondo», ha concluso.
Oggi su Vanity Fair esce il suo diario dei mesi trascorsi a New York - dove non ha ancora la cittadinanza onoraria - e si avverte un certo spaesamento.

Anzi no: Saviano, eroe antimafia dei due mondi.

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