Milano, Podestà ci crede «Si può vincere subito» Tiene l’affluenza: 69,1%

MilanoIeri in viale Monza si guardava il cielo. Nel quartier generale di Guido Podestà lo sapevano tutti: l’unico vero avversario è l’astensione, e una bella giornata fa venir voglia di prendersi un anticipo d’estate, più che di andare a votare. D’altra parte anche Ignazio La Russa nel suo comizio di piazza San Carlo lo aveva detto chiaro e tondo: «Se l’affluenza arriva all’80 per cento vinciamo al primo turno». Così, mentre i dati nel corso della giornata parlavano di una «diserzione balneare» delle urne nel Pdl, ci si è predisposti ad altri quindici giorni di battaglia. Qualche speranza con un lieve recupero di affluenza nel finale. Poi il dato definitivo - il 69,1 - ha lasciato aperte tutte le possibilità. «Io penso che si passi al primo turno - ha detto Podestà ieri sera -, siamo in vantaggio, intorno al 50-53 per cento. Anche se avessimo il 49,9 non è un dramma». Gli hanno risposto poco dopo dall’entourage dell’avversario: «Siamo fiduciosi di arrivare al ballottaggio. Accorciamo le distanze».
Le schede delle Provinciali ieri notte erano ancora chiuse nelle urne e sigillate. Impossibile trovare qualcun altro disposto a sbilanciarsi. Nel Pdl tutti hanno lavorato allo stremo per portare a casa subito un successo capace di cancellare l’anomalia milanese, quella Provincia che dal 2004 è in mano all’ex comunista (e oggi Pd) Filippo Penati. I segnali c’erano già tutti. Poi l’attesa, l’apprensione e le speranze.
Si sa che l’unico dilemma che ha accompagnato una campagna elettorale che il Pdl ha condotto tutta all’attacco era proprio questo: «Vinceremo al primo turno oppure no?». E d’altra parte l’unica speranza di vittoria del Pd era (è) riposta in una specie di terno al lotto: bassa affluenza alle urne al primo turno, arrivare al ballottaggio e - fra due settimane - sperare nell’aiuto dell’estate e dello spauracchio referendum. L’unico piano a disposizione di Penati nell’eventuale agognato secondo turno era (è) questo: sperare che stiano alla larga dalle urne tanti milanesi moderati e magari una bella fetta di leghisti impegnati a far fallire il referendum sulla legge elettorale. Non c’era altra strada, dopo 5 anni trascorsi a Palazzo Isimbardi con una maggioranza rosso-verde formata da tutti i cespugli possibili e immaginabili, in cui aveva trovato posto perfino un esponente di Sinistra Critica. Una maggioranza «prodiana» che ha bloccato spesso l’azione della Provincia, soprattutto su infrastrutture e rifiuti. Un immobilismo che Milano ha mostrato di non poter più tollerare. Di questo almeno è convinta il sindaco Letizia Moratti, che alla vigilia del voto si è rivolta direttamente ai cittadini: «Abbiamo bisogno di un cambio in Provincia, dateci un mano sostenendo Podestà». Per questo sono arrivati sei ministri, mercoledì scorso. Milano deve mettere in moto la macchina dell’Expo. «Il motore economico d’Italia deve riaccelerare» aveva sintetizzato lo stesso Podestà il giorno prima che il premier Silvio Berlusconi sbarcasse a Milano per una delle rarissime uscite della sua campagna elettorale per il resto trascorsa a lavorare sui dossier del governo. Nel 2004 era stata la spaccatura fra Pdl e Lega ad aprire la strada a Penati, allora segretario provinciale dei Ds, deludendo le speranze di riconferma del presidente uscente di Forza Italia, Ombretta Colli. Ma le divisioni nel centrodestra appartengono al passato. Invece il voto politico dell’anno scorso ha convinto l’ex sindaco di Sesto San Giovanni «miracolato» 5 anni fa che fosse necessaria una svolta. Così il presidente e Rifondazione hanno deciso di separarsi. La «Lista comunista e anticapitalista» per coltivare nel suo elettorato - sempre meno operai, sempre più centri sociali «radical chic» - i sogni di «un’altra Provincia». Il presidente, per accreditarsi come moderato, ha messo in piedi la sua lista «civica» per «pescare» al centro. Per lo stesso motivo negli ultimi mesi si è acconciato a leghista, a liberale, a indipendente. Facendo sparire dai manifesti riferimenti imbarazzanti al Pd e dicendo sì alle ronde. Rassicurare, mimetizzarsi, cavalcare l’emergenza sicurezza e proporsi come un interprete di un «law and order» alla milanese. È stata questa la sua strategia di comunicazione. Con quale credibilità si saprà meglio stasera a risultati acquisiti. I sondaggi di 15 giorni fa parlavano chiaro: Pdl e Lega insieme stavano sopra il 56 per cento, mentre Pd e Idv, i due partiti pro-Penati, erano appena al 35.

I numeri della Lista Penati non erano affatto incoraggianti: 0,7 per cento a metà maggio. Ma se il «miracolo» dovesse riuscirgli un’altra volta qualcuno giura che Penati sia pronto a candidarsi alla guida di un nuovo Pd federale e settentrionalista.

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