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Milano pregusta il paradiso ma Bologna non farà sconti

Dopo l’exploit di Treviso, gli uomini di Lardo cercano l’impresa con la Fortitudo

Oscar Eleni

da Milano

L’ordine è quello di non perdersi nella poesia adesso che l’Armani di Milano è arrivata dove nessuno, ma proprio nessuno, poteva sognarla anche amandola molto. Lino Lardo fa bene ad essere sarcastico, gli invidiamo la stagione del sudore, del lavoro, l’alba al Pallido con i tifosi in attesa, quando dice che non era proprio matto a pensare in grande: attacco per succhiare l’ultima linfa di Cantù, difesa per far scoprire alla Benetton che contro la difesa schierata giocava con la catena corta. Lucciconi negli occhi della gente al Palaverde, i non tantissimi che hanno seguito fino in fondo la battaglia dei tuttiverdi. Il collasso di Calabria, ma anche la sua vendetta, il collasso di Bulleri, ma anche l’amarezza di Gilberto Benetton, l’uomo che ha inventato la più bella organizzazione sportiva italiana, lo tengano presente, nell’euforia, Armani, Galliani e Moratti, la verità nascosta quando gli hanno chiesto se davvero il Bullo avrebbe lasciato la Marca per Milano: «Noi abbiamo fatto una buona offerta per un triennale, ma c’è chi gli darà di più, certo vedendolo nella quinta forse quella cifra (850.000 euro ndr) apparirà spropositata».
Eccoci alla verità del malessere Benetton, la stessa zavorra mercato che nel calcio cambia spesso tante traiettorie, perché si diventa infelici se ti viene il dubbio di non far più parte di certi progetti. Milano ha ragionato in maniera differente. Se Galliani sussurrava di volere un allenatore che non stesse sotto le righe, perché la città ha bisogno dell’affabulatore,ha scelto il tipo sbagliato, perché Lino il giansenista di Loano è un peperino come quando giocava. L’Armani è una storia di nuova generazione, il legame con l’Olimpia, come dimostra la spinta naif di Gino Natali, del nuovo popolo, ma una cosa ha imparato forse guardando i muri di via Caltanissetta quando sono tornati ad essere la sede, e non la casa sfrattata: restare compatti, credere nell’usato sicuro, far sentire ogni giocatore persona e uomo del gruppo. Milano ha vinto così la sua corsa ed ora è in finale perché ha cercato d’ imparare dalle sconfitte, di salire un gradino alla volta. Adesso è attesa dalla Fortitudo che in un certo senso ha fatto lo stesso percorso quando ha privilegiato il concetto di squadra, chiudendo fuori chi la voleva pazza come sempre per poterne decantare la pazzia. Lardo il regicida, come scrive benissimo Bianchini, parlando di uno che ha detronizzato Messina il re di una generazione che ora sembra attirato da esperienze straniere, cominciando da Mosca, chiuso in se stesso, impenetrabile al gruppo. Repesa l’uomo di ferro che considera sacro il lavoro, amico di chi ama una squadra, nel bene e nel male, anche quando si commettono errori, non dei suoi idoli. Da mercoledì suoneranno i tamburi. Si partirà da Bologna, poi toccherà al boato del Forum.

Finale imprevista senza sapere chi delle due è più Liverpool dell’altra.

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