Milano è la città più ricca d’Italia ed è quella che accoglie più immigrati. La ragione è semplice: gli immigrati sono attratti come una calamita dalla ricchezza perché dove c’è ricchezza c’è lavoro e dove c’è lavoro ci sono maggiori opportunità di realizzare il sogno di migliorare le loro condizioni di vita. Ebbene, se collochiamo questi due parametri nel contesto di una emergenza storica dovuta all’ondata imprevedibile e incalcolabile di masse di disperati in fuga dall’Africa e dall’Asia, qual è la vostra conc lusione? Molti di voi diranno: proclamiamo lo stato d’allerta, blindiamo Milano per impedireche arrivino qui, di immigrati ne abbiamo fin troppi e non possiamo mettere ulteriormente a repentaglio la nostra sicurezza.
Io vi dico che, per un verso, avete ragione perché in ogni caso l’afflusso degli immigrati deve essere regolamentato conformemente alla nostra reale necessità lavorativa e capacità di accoglienza. Tuttavia, per l’altro verso, dobbiamo saper trasformare questo dramma umano epocale in una rara occasione di fare di Milano il nuovo modello europeo dell’integrazione. Ora vi spiego come.
Milano è in valori assoluti la città italiana più ricca, con il Pil (Prodotto interno lordo) pro-capite più alto (36.530 euro nel 2009), così come è la città italiana imprenditorialmente più vitale. Al tempo stesso è, sempre in valori assoluti, la città italiana che accoglie il maggior numero di immigrati subito dopo Roma (212mila contro 290mila, ma bisogna considerare che Roma ha il doppio della popolazione di Milano). In parallelo Milano è la capitale italiana del no profit impegnato soprattutto nel sociale, con 11mila istituzioni che sono pari al 10% del dato nazionale.
Se consideriamo la provincia di Milano, i dati sono ancora più significativi: Milano genera circa il 10% del Pil nazionale, ha in attivo 284mila imprese e accoglie 350mila immigrati.
Se consideriamo che l’arrivo sulle nostre coste di circa 25mila clandestini in un mese ha gettato nel panico l’Italia e fatto esplodere dei conflitti in seno ai Paesi membri dell’Unione europea che adorano la moneta unica ma sono divisi sui valori non negoziabili che sostanziano l’essenza della nostra umanità e sulle regole fondanti la civile convivenza, capirete che non possiamo neppur lontanamente immaginare che l’Italia e l’Europa possano accogliere centinaia di migliaia o addirittura milioni di potenziali richiedenti asilo politico originari di Paesi africani in preda a guerre su larga scala, conflitti intestini o comunque vittime della miseria e dell’ingiustizia sociale. L’unica soluzione realistica, saggia e lungimirante, che corrisponde al bene comune che considera il legittimo amore per noi stessi e il doveroso amore per il prossimo in difficoltà, è aiutarli a stare bene a casa loro, favorendo le migliori condizioni possibili per incentivare il radicamento di quelle popolazioni nella loro terra.
Se consideriamo che l’unico antidoto alla miseria è lo sviluppo che genera benessere per i cittadini consentendo loro di emergere come il ceto medio che garantisce la stabilità sociale, così come l’unico antidoto alla guerra è la pace che si fonda sulla democrazia che a sua volta è assicurata dalla capacità del ceto medio di fare da contrappeso alla deriva autoritaria di ristrette cerchie di potere economico e politico, la sfida che abbiamo di fronte è di favorire l’ascesa della classe media. Economicamente la classe media si sostanzia di una rete di micro, piccole e medie imprese, così come su un piano sociale, culturale e politico la classe media è l’espressione della moderazione e del pragmatismo di chi ha a cuore il bene inalienabile alla vita, mette al centro la dignità della persona e rispetta la libertà di scelta.
Ebbene, se da un lato l’Italia è il Paese che, volente o no-lente, deve affrontare la sfida di questa ondata migratoria dalle proporzioni epocali ed è il Paese la cui economia si fonda su una rete di micro, piccole e medie imprese che generano oltre il 70% del Pil nazionale,dall’altro Milano è la città italiana che più di altre è sia esposta a diventare la calamita che attrae i nuovi clandestini, sia in grado di dare una risposta efficace alla domanda vitale e urgente di creare una rete di micro, piccole e medie imprese sull’altra sponda del Mediterraneo. Gli imprenditori milanesi oggi hanno di fronte a sé una rara occasione storica per diventare i pionieri di una vera e propria rivoluzione economica presso i nostri vicini di casa. Potrebbero essere loro ad avviare un percorso che trasformi soprattutto i giovani, che costituiscono il 70% di quelle popolazioni, da una massa di disoccupati in una massa di micro, piccoli e medi imprenditori.
Potrebbero essere gli imprenditori milanesi a individuare le direttrici di uno sviluppo che valorizzi le specificità di quei Paesi, a partire dal turismo, l’energia solare, l’agricoltura, l’artigianato, le infrastrutture, le telecomunicazioni e l’industria leggera. Dovrebbero preferibilmente farlo attraverso delle fondazioni che erogano il microcredito in un contesto formativo, valorizzando gli istituti italiani di formazione professionale già presenti in quei Paesi. Il nostro obiettivo deve essere di rendere quei giovani stranieri gli autentici protagonisti del loro sviluppo, dobbiamo aiutarli affinché non debbano più essere aiutati.
Gli imprenditori milanesi si facciano avanti. Questa opportunità storica consentirà a molti di loro di cominciare a risalire la china dalla crisi strutturale originata sin dal 2007 dalla speculazione finanziaria internazionale.
Affinché questa strategia abbia successo è necessario che il governo italiano cessi di dare i soldi ai governi arabi che usano i clandestini come arma per imporci una tangente in cambio del controllo delle loro frontiere. Andiamo dritto alla radice del problema emancipando dalla miseria la massa dei giovani stranieri. Spieghiamo a quei governi tutt’altro che democratici che i soldi li avranno non dalla tangente che finora sono riusciti a imporci, ma dalle tasse versate dai loro imprenditori e dai loro lavoratori che attraverso la loro emancipazione economica contribuiranno al consolidamento delle istituzioni dello Stato e della democrazia sostanziale.
Il nostro governo operi invece attraverso le fondazioni bancarie esistenti o creiamo delle nuove fondazioni per promuovere questo processo virtuoso, raccordandosi con le associazioni delle libere imprese. Sarà un bene per l’economia di Milano e per l’economia dei nostri vicini di casa. L’importante è agire in fretta: non possiamo continuare a reagire agli eventi, dobbiamo essere noi a prendere l’iniziativa.
Non possiamo continuare a sperperare i nostri soldi nella militarizzazione delle coste, nella costruzione di nuovi centri di prima accoglienza, centri di espulsione o di tendopoli, nell’ampliamento delle carceri e nell’aggravio della nostra spesa sociale da parte di chi percepisce prestazioni ma non versa i contributi.
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