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«Ma Milano resta la vera capitale della moda»

La moda ricomincia da New York. Ma soprattutto da Milano: il 23 settembre, con le sfilate inizia quella che Mario Boselli, presidente della Camera della moda, chiama «la semina».
La stagione si riapre. C’è ottimismo?
«C’è un ottimismo di fondo, perché i valori fondamentali del sistema tessile-abbigliamento ci sono tutti: siamo consapevoli di essere i primi al mondo grazie al connubio fra creatività e tecnologia».
Però?
«Però questi valori vanno calati nella realtà del momento, che non è delle più rosee».
In queste ultime settimane ci sono segnali di ripresa...
«La discesa è finita, c’è qualche leggero sintomo di recupero. Ma è debole. Lo scenario è una ripresa lenta e progressiva».
Quindi quali sono le prospettive?
«A settembre si presentano le collezioni della primavera estate 2010, quindi facciamo la semina».
E il raccolto?
«Fino a metà ottobre. Si ricevono gli ordini da consegnare nei primi tre mesi del nuovo anno. E c’è qualche segnale di lieve ripresa».
Milano è la capitale della moda, Roma in secondo piano. Una vecchia polemica?
«Nessuna polemica. Roma non ha un ruolo nella rappresentazione del prêt à porter alto. Le capitali della moda sono quattro: New York, Londra, Parigi e Milano. Ciascuna per motivi diversi».
New York?
«È la capitale del branding: produce poco ma c’è il marchio, la promozione. Londra ha i nuovi talenti, ma non ha un sistema industriale forte alle spalle».
Parigi è l’alta moda...
«Quello che resta dell’alta moda. Roma è la numero due, dopo Parigi. Milano è la capitale indiscussa del prêt à porter alto, quello degli stilisti. Il quale, a differenza dell’alta moda, garantisce un indotto enorme anche per il tessile a monte».
Il sistema Italia è più forte?
«Il saldo della bilancia commerciale del 2008 si è chiuso in attivo per 16 miliardi di euro. Il saldo della Francia è negativo, fra i due e i cinque miliardi. I numeri non sono tutto, però...»
Però dicono qualcosa?
«La dicono lunga. La fashion week di Parigi è più internazionale. Milano moda donna è la rappresentazione del nostro sistema moda: più dell’80 per cento dei marchi è italiano».
Milano è la moda italiana?
«Sì. E non c’è provincialismo: Milano è la capitale assoluta del prêt à porter alto».
Lo hanno proclamato anche gli americani a fine luglio. Si è stupito di questo riconoscimento?
«No. Però spesso le invidie... Noi siamo consapevoli che è così, ma non sempre ci viene riconosciuto».
Come sono i rapporti coi colleghi stranieri?
«C’è grande rispetto. Perché siamo i primi. Coi francesi collaboriamo da nove anni. E ultimamente non si spostano le date di una fashion week al mondo senza prima sentire il nostro parere».
E perché ogni anno nasce la solita polemica sul calendario?
«È una caratteristica di questo mondo: gli stilisti sono creativi nel fare gli abiti e lo sono anche nel sollevare problemi».
Che cosa vi aspettate da queste sfilate?
«Una buona semina. Sono convinto che gli stilisti abbiano fatto del loro meglio, più del solito: perché il modo migliore di rispondere alla crisi è fare belle collezioni».
Avete chiesto aiuti al governo. Di che tipo?
«A fine luglio ho incontrato il premier e il ministro Scajola. Ora abbiamo scritto a Tremonti: i nostri numeri lui li conosce, è inutile che facciamo noi delle proposte; la situazione è grave, e quindi che trovi lui le soluzioni. C’è molto bisogno di interventi».
Chiedete soldi?
«Soldi da non pagare. Magari una moratoria di un anno per l’Irap: più che dare soldi, bisogna non chiederli a chi non li ha».
La moda però ha quel saldo attivo di 16 miliardi...
«Certo. Ma deve anche rimanere attivo, per il bene di tutti. Non si tratta di finanziamenti a fondo perduto, ma di investimenti per preservare un patrimonio.

Diciamo che quello tra il paese e la moda è un matrimonio d’amore e d’interesse».

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