(...) guarda al mondo da sempre, a prescindere dalla candidatura per lesposizione 2015, di una città che cerca di ridare vita vera alla sua cucina. Carlo Cracco, messosi a luglio in proprio rispetto a Peck, ha sempre sostenuto che rispetto a Londra, Parigi e New York, Milano è in grado di essere creativa, etnica e pure tipica «mentre, ad esempio, non esiste una cucina parigina. È un valore aggiunto».
Un valore da rendere il suo attuale possibile perché Milano ha scelto lalimentazione come tema del suo eventuale Expo e anche se in questo termine rientra di tutto, dalle pappe dei primi mesi di vita alle diete per gli anziani, è scontata limportanza mediatica dellalta cucina, una ristorazione da sogno che deve essere pure milanese e non solo toscana e giapponese, tutto crudo e locali della moda, creativa e ricca.
Ecco così lamministrazione comunale pensare alle DeCo, alle Denominazioni Comunali, a un riconoscimento per le ricette che sono arrivate fino a noi, non potendo certo legare Milano a prodotti della sua terra. Qualcosa di simile ha già fatto la Camera di commercio con le Deca, Denominazione di Cucina Ambrosiana, con tanto di guida a chi ha in carta proposte milanesi, anche se poi vi ritroviamo un vegetariano e creativo come Pietro Leemann del Joia.
Questo non fa che confermare la realtà di una tipicità che è diventata internazionale con alcune sue preparazioni, il Risotto giallo e lOssobuco, la Costoletta e il Panettone, ma che non trova riscontri quotidiani in famiglia e al ristorante. La cucina milanese è stata uccisa dai sue due tratti peculiari: il tempo e la ricchezza. Non cè un piatto che sia veloce e in pratica non ve ne sono nemmeno di leggeri. Milano fredda, piovosa e nebbiosa ha elaborato ricette che oggi suonano un inno slow, in stridente contrasto con una quotidianità sempre più fast. E senza colf, nonne e zie in cucina, chi passa più unora ai fornelli per un nodino di vitello (Rostin negàa) e venti per soffriggere la cipolla per il risotto a seguire? In pratica nessuno, a volte nemmeno la Riso Gallo con i suoi risotti pronti in due minuti.
E allora ecco lassessore alle attività produttive, Tiziana Maiolo, prendere in mano la situazione per arrivare a un tavolo di lavoro al quale far sedere chi ha titolo per discutere la materia (Accademia Italiana della Cucina, Papillon, Slow Food, Identità Golose...) e individuare quei piatti da prendere a modello. Il primo punto sarà stabilire se ha senso definire preparazioni che sono ormai degli stereotipi, il risotto piuttosto che la cotoletta che tutti fanno come aggrada loro.
Potrebbe essere meglio affidare limmagine della tavola alla seconda linea, a quei capolavori che vivono soprattutto nei ricordi e nei sentito dire: Fojolo (il centopelli) e la Busecca (trippe nel resto dItalia), i Mondeghili con le verze, la Cassoeula (di maiale) che va servita a partire da San Martino l11 novembre fino allo Zabajone disintegrato dalle diete. Il vitello tonnato no, troppo importato dal vicino Piemonte. E i sushi? Sono ancora etnici, diverranno tipici verso il 2104.
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