Milano è splendida. Come nel Medio Evo

Milano è splendida. Come nel Medio Evo

Che Milano sia una bella città è una considerazione di non immediata evidenza. Ma è certamente vera. Nessuna città ha tante sorprese sia rispetto alla gioia di vivere, sia rispetto agli edifici. Chi entra nell’appena restaurato cortile di Palazzo Reale vede apparire sulla sinistra un minareto: è il campanile di San Gottardo in Corte. E chi, allora, voglia avvicinarsi alla chiesa che la torre segnala, entrandovi, troverà un affresco dipinto da una mano molto simile a quella di Giotto. Non avrà fatto in tempo a vederlo quel dotto e curioso Bonvesin de la Riva, che pure muore dopo il 1313 e che nel 1288 scrive il De magnalibus Mediolani che è un elogio della città, di tutte le sue perfezioni. Delle chiese dice: «Le chiese, degne di tale e tanta città, sono, soltanto entro le mura, circa duecento, con quattrocentottanta altari». Ricorda la chiesa di San Lorenzo con le sedici colonne all’esterno, ma suggerisce di vedere anche «tutte le altre chiese, tanto numerose e tanto grandi e di tale qualità (...) Meraviglie di Dio, che in un’altra città mai o rarissimamente gli sarà dato di ammirare» (magnalia Dei, quae in alia civitate nunquam vel rarissime spectare valebunt). Magnalia, meraviglie, meraviglie di Milano che meritano l’elogio, non per farti rimpiangere la vita dei Milanesi della fine del Duecento, ma per capire le ragioni del primato di Milano nella vita di oggi. Benché infatti non manchino critiche e lamenti per come la città è amministrata, da sempre essa è il desiderato punto d’arrivo di chi sale da ogni parte d’Italia e, senza perdere le proprie radici, come non accade altrove, a Milano diventa milanese. È anche da questo che viene la forza di un movimento politico come la Lega: l’orgoglio e il vantaggio di vivere in Lombardia, la regione più ricca d’Europa, e di abitare a Milano. Bonvesin lo sapeva già, e ce lo dice nell’Elogio di Milano «per la sua fertilità e la sovrabbondanza di ogni bene».

Arrivato alla fine del suo testo sulle Magnalia, Bonvesin ribadisce il suo metodo rigoroso, basato sulla conoscenza e sulle fonti storiche e sulle testimonianze e non condizionato dal campanilismo: «Tutto quanto ho esposto a lode della nostra città non vorrei sembrasse che l’abbia sognato o l’abbia scritto per bizzarra leggerezza o l’abbia in malafede infarcito di lodi false per piacere agli uomini mentre io ho fatto una ricerca molto faticosa e diligente, attenendomi alla verità dei fatti, quali sono conosciuti da me o da altri». Alla fine prevale l’amarezza o lo sfogo. E si rivolge alla città per sollevarla, con avvisi a chi vuole dividerla: «In casa tua viene nutrito chi cerca di farti a brani con invidiosi denti; della tua turbolenza si rallegrano forse le città ai tuoi confini, temendo, se tu ti rafforzassi in una lunga pace, di diventare tue tributarie».

È una invocazione dolente, quasi una maledizione contro quelli che pensano solo al loro vantaggio, e che potrebbe essere ripetuta oggi: «O mirabile splendore del mondo, o città ricolma di grazie multiformi, o veneranda città, consacrata dal sangue sacratissimo di molti martiri, chi sono quelli che osano farti guerra se non certi tuoi cittadini prepotenti, che le ricchezze di tutta la terra non potrebbero saziare? Nella nostra terra certi invidiosi, ignari di Dio e di se stessi, hanno avuto e hanno una iniqua caratteristica, quella di usare le astuzie e tutta la loro prepotenza contro i loro concittadini e, alleandosi piuttosto con gli stranieri, farsi guerra tra di loro con armi inique, per dominare come tiranni sui loro concittadini, a obbrobrio della loro città, anziché rispettarsi pacificamente per ottenere, a potenziamento della loro città, il dominio su tutti i Lombardi e gloria trionfale. Guai a quegli scelleratissimi cittadini, che nel loro potente livore cercano di distruggere tanta e tale città e imitano la condotta di Lucifero!».

Bonvesin descrive la cronaca politica degli anni Ottanta sotto il dominio prima di Ottone e poi di Matteo Visconti. Vuole concordia per il bene dell’amatissima città. Il suo obiettivo, illustrando le meraviglie ignorate anche dai suoi concittadini, è di carattere civile: «Che tutti gli amici di questa città e tutti quelli che non provano invidia, leggendo e sentendo di queste meraviglie se ne rallegrino e glorifichino Dio». Per questo occorre scongiurare un «governo disonorevole», e anche che qualche tiranno straniero (magari, osserva maliziosamente Bonvesin, incuriosito e stimolato dalla sua descrizione) voglia conquistarla. L’elogio di Bonvesin è incondizionato, e il movimento della Lega potrebbe assumerlo come manifesto: «Fra tutte le regioni della terra una fama universale colma di lodi e magnifica sopra le altre la Lombardia per la sua posizione, per la densità dei suoi centri abitati, per la magnificenza e la fertilità della sua pianura. E tra le città della Lombardia magnifica Milano, così come si esalta la rosa o il giglio tra i fiori, il cedro nel Libano, il leone tra i quadrupedi e l’aquila tra gli uccelli: e su questo punto tutte le lingue concordano. Ne ciò è sorprendente dal momento che Milano supera tutte le città. Si considerino infatti tanto la posizione quanto le abitazioni del suo così grande contado e della sua diocesi, e la qualità e quantità dei suoi abitanti. Si considerino ancora la fertilità del suolo e l’abbondanza per tutti di ogni bene di cui abbisognano gli uomini.

Si considerino la forza di Milano, la sua costante fedeltà, la sua gloriosa libertà, la ricchezza della sua dignità: che, tra tutte le altre città, essa sia come il sole tra i corpi celesti, apparirà allora chiaramente; che sia la sede più adatta per il Papato, con buona pace dei Romani, ne darò chiare prove più avanti». Con queste premesse Bonvesin ci affida un compito, indicando un destino e un primato che, al di là della Santa Sede, i secoli hanno confermato. Le meraviglie di Milano non sono finite.

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