di Gianandrea Zagato e Stefano Zurlo
MilanoFischi e insulti, urla e dileggio. Fotografia di piazza Duomo che celebra il 25 aprile e vorrebbe zittire Roberto Formigoni. Nostalgici dell’odio, pasdaran dell’intolleranza uniti dalla volontà di continuare a conservare la «proprietà» della manifestazione. E, allora, niente di meglio della contestazione pesante al governatore che avrebbe «dovuto girare al largo», che non «è ospite gradito». Ma Formigoni c’è e dal palco di piazza Duomo ricorda come «la lotta di liberazione non sia stata lotta di una parte sola», come il contributo «essenziale alla lotta partigiana sia stato dato anche da laici e cattolici, repubblicani e monarchici, liberali e socialisti».
Virgolettati di una storia nazionale inaccettabile per la piazza. Antonio Di Pietro chiosa che non è la «giornata del “volemose bene”», sul palco piovono gli sputi della sinistra che, ancora una volta, tradisce lo spirito del 25 aprile. Formigoni non si lascia intimorire, alza il tono e spinge sul microfono: «Una parola voglio dedicarla anche a coloro - e ce ne sono stati - che in buona fede si impegnarono dall’altra parte, dalla parte sbagliata, a costoro va il più grande rispetto...». L’intimidazione della sinistra continua, «...ma il giudizio storico è netto, non dubitabile e non revisionabile». La piazza però non ascolta e continua a insorgere e a strepitare: le provocazioni non sono più solo verbali. Filippo Penati, Dario Franceschini and company avevano garantito sulla bontà dei manifestanti ma ora latitano, non alzano un dito, nessuno dal palco interviene per stoppare la folla. Anzi, no, c’è Oscar Luigi Scalfaro che si fa avanti e si mette al fianco di Formigoni. Che fa? Invita al silenzio mettendo l’indice davanti alla bocca.
Le contestazioni continuano, Formigoni alza la voce nel microfono: «Gli italiani hanno imparato a combattere tutti i totalitarismi, quello nazista e quello fascista così come quello comunista e stalinista...». Il resto sono altri due minuti di odio e il finale formigoniano «viva il 25 aprile, viva la libertà e viva l’Italia».
A Porta Ticinese, invece, il presidio della sinistra antagonista del Centro sociale Cox 18 si risolve in una scampagnata. O poco più. Il nemico, almeno questa volta, non è Silvio Berlusconi ma, nientemeno, Bava Beccaris, il generale che fece sparare sulla folla inerme dei milanesi nelle terribili giornate del maggio 1898, provocando una carneficina. Canti, letture, rievocazioni: i giovani no global si perdono sui libri di storia inseguendo i moti del ’19, la bomba al Diana, la prosa di Elio Vittorini. Per concentrarsi sulle memorie insanguinate del 1898, i cannoni che fanno scempio dei milanesi. Lo strano corteo è guidato da un risciò: seguono i giovani, pochi, qualche bicicletta, un paio di cani. Avanti e indietro per le vie di Porta Ticinese, lontani, lontanissimi dall’attualità.
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