Milano - La banda suona l’Internazionale socialista mentre Giuliano Pisapia dà il via ai festeggiamenti di piazza. «Compagni, noi siamo il gran partito dei lavoratori. Non più servi, non più signori». Applausi, grida, trombette, palloncini.
«Ma ha vinto Nichi Vendola o Giuliano Pisapia?». Il colpo d’occhio (e d’orecchio) su piazza Duomo vale più di tante analisi politiche e dipinge con una pennellata di colore la distanza tra i sogni d’indipendenza del neo sindaco di Milano e la realtà della politica. Altrimenti che cosa ci farebbe mai Nichi Vendola sul palco con vista guglie? «È la capitale del Nord espugnata. Sembrava il fortino e il bottino consegnato per sempre alla destra» si sgola il leader del populismo di sinistra targato Sel.
Vendola si lancia in un proclama un po’ da santone e molto alla Malcolm X: «Abbracciamo i fratelli rom e i musulmani». Il governatore della Puglia è in trasferta a Milano, mette la sua bandierina sulla piazza che ha visto la preghiera islamica davanti al Duomo. Fa un discorso a metà tra il politico e l’aspirante leader religioso: «Vogliamo abbracciare quelli che vogliono pregare qualunque Dio! Basta, non ne possiamo più della loro arroganza, la politica deve cambiare, ci vuole una politica di dialogo e di apertura».
L’avvocato Giuliano Pisapia tenta timidamente di riprendere la scena: «Io sono grande amico di Vendola ma a Milano si è vinto perché abbiamo parlato dei problemi di Milano». Ma ormai è chiaro che Nichi Vendola è deciso a rubargli la festa, a ricordargli che la vittoria è anche sua. Soprattutto sua, sembra pensare il presidente della Regione Puglia, che usa il palco milanese come trampolino per le sue ambizioni nazionali: «Il prossimo obiettivo è liberare Palazzo Chigi! Oggi finisce la pornografia al potere, mi aspetto elezioni anticipate».
Segue un avviso di sfratto al governo e una dichiarazione di guerra fredda anche per il Pd e i partiti per così dire tradizionali: «Non ho ancora sentito Pier Luigi Bersani o Antonio Di Pietro. Sono qua, in mezzo al popolo. Stasera ci sarà tempo per le telefonate...». Adesso è il momento di mettere il cappello sulla vittoria, di ricordare a tutti (Pisapia e Bersani in primis) a chi dovranno pagare pegno.
Perché una cosa è vincere e un’altra governare. E l’occupazione di piazza Duomo organizzata da Vendola nel giorno in cui la sinistra vince la sfida a Milano significa che Sel e la sinistra radicale hanno intenzione di alzare la testa in giunta. I numeri sono dalla loro parte. Le elezioni hanno portato in consiglio comunale un drappello di esponenti della sinistra estrema in grado di condizionare ogni decisione. A Palazzo Marino non si muoverà foglia che Sel e compagnia non voglia.
Molto pesante il voto alla sinistra radicale: tra Sinistra ecologia e libertà (4,7), la Lista civica per Pisapia (3,1) e Rifondazione comunista (3,1), il voto che si può definire comunista si aggira sul 12 per cento. A questo si aggiunge il 2,5 dell’Italia dei valori di Di Pietro e l’1,7 dei radicali. Così, oltre l 15% dei voti e ben nove consiglieri su quarantotto arrivano da un’area molto radicale. In più il Partito democratico ha collezionato il 28,6 per cento dei voti, ma il successo delle preferenze ha premiato soprattutto candidati outsider come Stefano Boeri e dell’area ex Margherita. Più debole il sostegno agli ex ds.
Tutto ciò peserà molto adesso che si tratta di scegliere i dodici uomini della giunta Pisapia. Il neo sindaco in campagna elettorale ha promesso che sei di questi dodici saranno di sesso femminile e che una di queste signore sarebbe diventata vicesindaco. Si è ipotizzato un arrivo da Roma della parlamentare Marilena Adamo o da Strasburgo dell’europarlamentare Patrizia Toja, ma ai futuri assessori è stato chiesto dal partito di abbandonare gli altri incarichi e di dimettersi dal Parlamento. Così è possibile che la scelta per le donne in giunte cada su altri nomi: Daniela Benelli e Patrizia Quartieri di Sel, Carmela Rozza del Pd, Maria Grazia Guida, direttrice della Casa della carità, la manager Anna Puccio.
I cattolici di sinistra, a partire dai seguaci di don Virginio Colmegna, si sono spesi molto per la vittoria di Giuliano Pisapia. Hanno firmato proclami e appelli, hanno garantito parecchi voti e eletto un discreto numero di consiglieri.
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