Cronaca locale

Da 30 anni inchiodati ai voti dell’ex Pci C’è poco da far Festa

Domani inizia la sua «Festa democratica», ma il Pd milanese ha ben poco da festeggiare. Mini scissioni cattoliche, candidati fantasma, voti inchiodati alle percentuali che 30 anni fa erano quelle del Pci poi del Pds e dei Ds con i loro alleati di turno. È in questo clima che il Palasharp di Lampugnano si prepara a ospitare tutti i «big» nazionali nella prima vera campagna congressuale, ma alla kermesse (tagliata di una settimana rispetto al solito) l’aria che si respira è più mesta del solito. E all’orizzonte non si vedono segnali politici capaci di far immaginare una «ripresa».
Intanto nella rappresentanza istituzionale del Pd si è aperta una voragine, al centro, che rischia di inghiottire una bella fetta del partito, soprattutto nel caso in cui dovesse prevalere la mozione Bersani, quella più «di sinistra». Tre consiglieri regionali di area cattolica (ex Margherita) hanno abbandonato il gruppo per fondarne uno nuovo, «Centrosinistra per la Lombardia». Primo passo verso l’Udc. «Non c’è spazio per i valori cattolici». Così hanno spiegato l’addio e l’avvicinamento ai lidi centristi, verso il «Partito della nazione» degli ex dc.
Tre nomi importanti quelli che hanno lasciato. A partire da Battista Bonfanti, ex segretario regionale della Margherita. Con lui Maria Grazia Fabrizio, ex segretaria cittadina della Cisl milanese. Il terzo è il bresciano Dionigi Guindani, con un passato da sindacalista nella Cgil.
Proprio dalle parti del Pirellone si capta un altro elemento di crisi, in vista delle prossime elezioni regionali. Il Pd non ha ancora un suo candidato, sembra non sapere che pesci pigliare, e rischia di pagare cari i ritardi causati dallo scontro congressuale interno.
Le settimane passano, e dalla sconfitta delle Provinciali di giugno su questo fronte non è stato fatto un solo passo avanti. Dentro il partito non sta emergendo una candidatura autorevole. E anche per la realistica previsione di un esito negativo, i democratici milanesi sembrano più propensi a occuparsi delle Comunali del 2011 piuttosto che dell’imminente (proibitiva) sfida al governatore Roberto Formigoni.
Così Filippo Penati non ha alcuna voglia di compromettere il suo futuro politico con una nuova «missione impossibile», e gli altri papabili di cui si parla sembrano più che altro dei ripieghi: dall’ex sindaco di Brescia Paolo Corsini ai parlamentari europei Antonio Panzeri e Patrizia Toia.
Anche sul metodo di scelta - primarie o no - la decisione definitiva non è ancora arrivata. Insomma alla fine il candidato più gettonato è un potenziale alleato, quel Bruno Tabacci a cui il suo stesso partito - l’Udc - preferirebbe Roberto Formigoni. Non un buon viatico insomma.
Intanto nel dibattito politico cittadino il Pd rischia l’irrilevanza: anche quando s’inasprisce è tutto giocato all’interno della maggioranza di centrodestra. Expo, Ecopass, moschea. Su tutte le questioni d’attualità il Pdl e la Lega discutono e poi trovano la «quadra» rappresentando tutte le istanze e gli interessi in ballo, e l’opposizione non «tocca palla». Alle Provinciali la notorietà del presidente uscente (Penati) e l’astensionismo alto hanno fatto cantare vittoria a Pierfrancesco Majorino e compagni per il risultato nel Comune di Milano, ma la realtà è che i voti del Pd - basta guardare ai dati delle Europee, le consultazioni più politiche - non si schiodano da quella cifra che da tre decenni rappresenta il recinto del Pci, poi Pds e Ds. Nel 1979 i comunisti in città erano al 26,3 per cento (27,9 con Democrazia proletaria). Dieci anni dopo al 24,6 (26,8 con Dp). Nonostante le fusioni con spezzoni ex democristiani negli anni Novanta, e dopo il piccolo exploit del 2008, tre mesi fa il Pd è tornato al 25,2 (28,7 con la lista comunista).

Insomma per quanti tentativi faccia di sfondare al centro, il recinto è quello, e non si supera.

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