Nonostante i borbottii rancorosi di una sinistra ridotta a masticar bile e ormai oltre l'orlo di una crisi di nervi, la richiesta politica che esce dalle urne è chiarissima. Perché è evidente che da questi tre milioni di voti lombardi partirà una nuova e auspicabilmente feconda stagione di riforme. Hanno perso, come era giusto, i sinistri gufi del Pd e compagni che avevano passato il pomeriggio a sperare che lombardi e veneti rinunciassero al diritto costituzionalmente garantito di chiedere maggiori competenze e le conseguenti risorse economiche al governo romano. Un popolo lombardoveneto di 15 milioni di italiani che «nel quadro dell'unità nazionale», come recitava il quesito per evitare qualsiasi possibilità di equivoco, hanno deciso di dare un'arma in più ai due governatori Maroni e Zaia per affrontare una trattativa che finora ha trovato a Roma interlocutori sordi. Ed è questo che va risposto a chi anche ieri diceva che sì, le richieste sono giuste ma invece che la strada del referendum si sarebbe potuta percorrere quella del dialogo col premier. Peccato che finora le parole siano scivolate come l'acqua sulle pietre dei Palazzi romani e invece, alla faccia di chi ieri ha masticato bile, da oggi non sarà più possibile far finta di non vedere che un quarto dell'Italia, la parte se non migliore di certo più produttiva del Paese, ha manifestato una grave disagio. La si è chiamata autonomia e non indipendenza perché quella del Nord è gente abituata a tenere i toni bassi, a bussare alla porta anziché a sfondarla anche se a essere reclamati sono diritti fondamentali e forse sacri come l'autodeterminazione e la possibilità di scegliere con un voto la strada che porta verso il futuro e non al baratro.
E ci sarà un motivo se anche ieri i lombardi hanno voltato le spalle al vuoto pneumatico di idee in una
sinistra che non a caso non governa la regione da oltre 23 anni. E che, ieri lo si è capito bene, non la governerà nemmeno nella prossima legislatura. Condannati a rosicare per altri cinque anni, come ieri sui divani di casa.
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