Cronaca locale

Allarme bomba in metrò In città scoppia la psicosi

È guerra, un pezzo della terza guerra mondiale, come ha detto il Papa, poi il cardinale Scola, e oggi ripetono tutti, passanti e turisti seduti con circospezione nei bar. Dire che l'allarme dell'Fbi colga di sorpresa i milanesi, il Duomo o la Scala, giudicati a rischio dagli investigatori Usa, sarebbe una bugìa. L'allarme (con le sue contromisure) in cattedrale come al Piermarini è alto da sempre, ancor di più dopo la strage di Parigi. Ma c'è la metropolitana evacuata in Duomo che dà il segno della paura che è ormai psicosi collettiva: un trolley abbandonato sospetto, la linea gialla chiusa per mezz'ora alle sei del pomeriggio, l'arrivo degli artificieri, la scoperta che erano innocui vestiti. Panico in azione.Molto è cambiato. Anche senza le dichiarazioni della prefettura, gli occhi vedono le penne degli Alpini che con grande discrezione si aggirano per la cattedrale. Davanti al Duomo ti imbatti in un presidio di militari in giubbetto antiproiettile, pronti a contrastare una sommossa. Chi entra alla Scala trova i metal detector: dispositivi in mano ai poliziotti che li usano per perquisire gli spettatori all'ingresso. Così la rivoluzione della paura si insinua nella vita.Poi c'è quel che non vedi e che aiuta a sentirsi sicuri: poliziotti in borghese, alla Scala nel foyer e tra i palchi, in Duomo, in giro per gli obiettivi sensibili noti e meno noti. Basterà per proteggersi? per proteggerci? Alla Scala ricordano che il teatro è sempre stato molto protetto, anche se in questi giorni le persone che sono venute a vedere «Manon» manifestano già «una moderata preoccupazione che si avverte». E siamo lontani dalla Prima del 7 dicembre, quando a Milano arriveranno capi di Stato da tutto il mondo.La gente, quasi sottovoce, discute solo di questo. La paura che niente sarà come prima si è attaccata sulla pelle, aggredisce pensiero e parola. «Cambiare modelli di vita», «difendiamoci e disarmiamoli», «non cedere al terrore» sono modi diversi di dire che siamo in «guerra», dentro «un pezzetto» di questa terza mondiale.Molti in chiesa, nonostante la paura. Domenica scorsa il Duomo era pieno. Monsignor Luigi Bressan, vicario dell'arcivescovo, crede che bisogna armarsì sì, ma di amore: «Il terrorismo è un bisturi per tagliare e mettere gli uni contro gli altri. Solo un eccesso d'amore può contenere l'eccesso di odio». Siete allarmati? «In altre regioni del mondo i cristiani stanno soffrendo più di noi. Noi siamo privilegiati, stiamo godendo dei frutti seminati dai nostri padri. Mi torna alla mente Paolo VI che credeva nell'Europa come qualcosa che potesse evitare un'ecatombe come era stata la seconda guerra mondiale. Più che essere allarmati, dobbiamo tornare a lavorare. Ci siamo impigriti in uno stile borghese.

Dobbiamo tornare più poveri e seminare valori».

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