Non ci sono solo le piazze stracolme. Può capitare in questi giorni sconvolti dalla violenza omicida di Parigi e dalle barbare stragi in Nigeria che andare a Messa la domenica diventi un atto di fede più partecipato. Il Duomo è la seconda parrocchia di molti milanesi, oltre che la casa ospitale di tanti stranieri. Così, vederlo ancora pieno per l'Eucaristia di mezzogiorno e mezza dà ai fedeli un senso di gioia e fiducia. Se lo ripetono l'un altro, in fila per i controlli, davanti ai militari che come di consueto controllano borse e persone. Sanno che essere in Duomo espone a qualche rischio più che ritrovarsi nella chiesa sotto casa ma dicono anche un'altra cosa: lasciarlo svuotare significa non incontrare quel Gesù crocifisso che li guarda dall'alto, sospeso sulla grande navata. E i tanti fratelli che in troppi Paesi nel mondo continuano a morire, martiri per la fede.
«Lo stato di allerta è aumentato» spiega un militare. Una riunione straordinaria in prefettura ha recepito la direttiva del Viminale: i luoghi di culto e le scuole religiose, così come i giornali, sono obiettivi sensibili. Il Duomo lo è in modo maggiore degli altri. È un simbolo e i simboli hanno una forza che è anche la loro debolezza di bersagli. Il sacerdote che celebra la messa, don Claudio Burgio, cappellano del carcere minorile Beccaria, sembra anche lui quasi stupito dalle panche piene fino in fondo alla cattedrale. Alla fine ringrazia i fedeli: «Vuol dire tanto per la nostra fede essere qui oggi. È importante che non prevalga mai l'estremismo e non prevalga mai la paura».
Don Claudio usa l'ironia per parlare di «ciò che tutti oggi abbiamo nel cuore», perché il riso è una delle componenti essenziali del nostro essere uomini e serve anche ad esorcizzare il pensiero della morte: «Scherzando con alcuni amici dicevo: mi hanno messo a dire Messa in Duomo perché è uno degli obiettivi sensibili del fondamentalismo. Non vorrei spaventarvi e non vedervi più qui, domenica prossima. Invece è importante che torniate, nel nostro Duomo, che significa tanto per noi».
Le folle di turisti delle feste sono scemate: resta il popolo dei fedeli. Le letture sono sorprendentemente attuali in questi tempi in cui risuonano grida di guerra. «L'empio abbandoni la sua via e l'uomo iniquo i suoi pensieri: ritorni al Signore che avrà misericordia di lui e al nostro Dio che largamente perdona» dice il profeta Isaia. E San Paolo agli abitanti di Efeso, da «lontani» diventati vicini: «Cristo è la nostra pace, colui che di due ha fatto una cosa sola, abbattendo il muro di separazione che ci divideva, cioè l'inimicizia, per mezzo della nostra carne». Sembrano scritte per quest'oggi di divisione e di sangue.
Don Claudio parla dei tanti giovanissimi musulmani con cui si trova a contatto al Beccaria, del fondamentalismo che tocca con mano e delle sue radici malate: «Con i ragazzi in carcere vedo che nella disperazione cadono in questa che
non è neppure fede, ma credenza islamica». Che fare? La sua risposta risuona in Duomo: «Se non c'è accoglienza e integrazione sin da quando sono bambini, non c'è speranza». Un modo concreto di riaffermare i nostri valori.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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