«Sono solo uno storyteller, uno che racconta storie», diceva Juan Muñoz. All'artista spagnolo morto a soli 48 anni nel 2001 Hangar Bicocca, per la curatela di Vicente Todoli, dedica ora una retrospettiva, la prima in Italia, che commuove e incanta. E non poteva che essere così perché le sculture di Muñoz, quelle creature di resina alte poco più di un metro e mezzo e dotate di mille espressioni e il capo arrotondato, paiono davvero a casa loro nei grandi spazi industriali dell'Hangar («Juan Muñoz. Double Blind and Around», fino al 23 agosto). Entriamo in universo quasi monocolore: il grigio, il giallo ocra, il bianco, il nero. Un centinaio di figure, suddivise in quindici opere, sono le protagoniste delle storie che l'artista suggerisce al visitatore. Siamo come dentro un teatro: passeggiamo tra scene diverse vediamo gruppi in conversazioni apparentemente allegre, altri in atteggiamenti aggressivi, altri in situazioni acrobatiche, quasi drammatiche, con la corda al collo e capiamo subito che anche noi siamo parte della messa in scena. È l'«illusione visuale» suggerita dal titolo di una delle opere, che gioca con l'illusione ottica del sipario vicino alle figure. Non si può non partecipare, all'arte di Muñoz. Non si può non provare empatia per quella sua folla di personaggi che un po' nanetti, un po' acrobati, un po' uomini comuni animano queste composizioni surreali e teatranti, come nel gruppo «Con la corda alla bocca».
Muñoz cresciuto nella Madrid ancora franchista, espulso da scuola, scappato giovane in Inghilterra poi a New York è molto spagnolo nel gusto per il teatro e per la rappresentazione. Mai barocco, però: sceglie materiali semplici e pochi colori. Vicino all'Arte Povera (è stato assistente di Mario Merz) e amico di Richard Serra, è capace di creare una scultura tutta sua, ora attenta a ogni dettaglio della figurazione, nei volti e nelle vesti dei suoi omini, ora simbolica, come in «Conversation Piece», dove i personaggi diventano biglie antropomorfe. Buffi o inquietanti? Entrambi: Muñoz è artista che ha capito perfettamente il potenziale infinito della gestualità e dell'espressività di noi umani. La mostra è un crescendo che ha nell'imponente installazione «Double Bind & Around» il suo acme: ideata ed esposta per la prima volta alla Tate di Londra nel 2001 (era ancora in corso quando un infarto si portò via l'artista), è enorme e va vista su due livelli. Apparentemente sembra un parcheggio industriale a più piani, di fatto è una macchina scenica. La visione dall'alto, accessibile grazie a una scala, svela finte finestre disegnate sul tetto che, quando si scende al piano inferiore, non esistono più.
Al loro posto, in ordine sparso, lampi di luce e nicchie verticali da cui si affacciano i personaggi di Muñoz, sempre indaffarati.
«Che porti meraviglia»¸ disse Muñoz quando concepì questo lavoro per la Tate. La grandezza dell'artista si misura anche dalla consapevolezza di quanto la collaborazione di chi guarda sia importante per far vivere le sue opere.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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