Anna, via dalle bombe per curare il figlio Ivan: "Noi non ci arrendiamo"

Da Kiev (dov'è rimasto il fratellino) a Pavia. "Io per metà russa. L'Ucraina? Vuole libertà"

Anna, via dalle bombe per curare il figlio Ivan: "Noi non ci arrendiamo"

«La libertà». Rispondono all'unisono Anna e il figlio Ivan, se gli si chiede in cosa speri oggi il popolo ucraino, il loro popolo. Anna poi è «per metà» russa - lo è sua madre - e ancora ricorda i giorni spensierati trascorsi a Mosca quando era bambina. «Non c'è mai stato odio fra i nostri popoli, mai».

Ivan ha uno sguardo attento e intelligente, compirà 18 anni a giorni ed è iscritto al primo anno di Economia e commercio all'Università di Kiev. Ha con sé, in pdf, i testi che gli serviranno per preparare la sessione d'esame estiva, dopo aver concluso quella invernale. «Ha il massimo dei voti», dice orgogliosa la mamma, che tiene chiuso nella mano un fazzoletto bianco piegato mille volte, e nonostante un viaggio di 2.300 chilometri, nonostante la stanchezza, nonostante il distacco forzato dall'altro figlio, nonostante tutto, mostra una dignità dolce e fiera che sembra un manifesto, nella giornata internazionale delle donne, ricordata da un ramoscello di mimosa appoggiato sul comodino di una stanza dell'ospedale San Matteo di Pavia.

Sono in Italia da meno di una settimana. Da novembre combattono con la malattia del ragazzo. «Eravamo all'istituto oncologico di Kiev - racconta - e il mattino del 24 febbraio ci ha svegliato il rumore delle bombe. Abbiamo capito che era iniziata la guerra. La città e l'ospedale erano preparati a questo. I primi giorni li abbiamo trascorsi passando dal reparto agli scantinati, seguendo gli allarmi trasmessi dalla tv. Poi gli attacchi sono aumentati e siamo rimasti sottoterra, finché il primario, vista la situazione dei bimbi in condizioni più serie, non ha deciso di cercare una soluzione».

Grazie alla missione di Regione Lombardia e della onlus «Soleterre» è iniziato il loro viaggio, prima in treno fino a Leopoli, poi in bus fino al confine polacco e da qui in volo fino all'Italia, Linate e poi Pavia: «Conoscevamo l'Italia ma non questa città. Ora sappiamo che c'è un ospedale molto buono, e siamo certi che le cure mediche non solo potranno proseguire ma saranno anche migliori qui». «Io provo solo gratitudine per le persone che ci stanno aiutando» dice Anna.

L'istituto di Kiev, intanto, è stato convertito a ospedale militare, riservato ai soldati. In quella città è rimasto letteralmente un pezzo della loro vita: il fratellino di Ivan è rimasto là, e della mamma sente la mancanza: «Vuole venire qui dove siamo noi». Il padre però non può lasciare il Paese, ma forse potrebbe farlo la sorella di Anna. Il futuro è ancora un'ipotesi, ma potrebbe essere qui in Italia. «Nel nostro cuore ci sarà sempre l'Ucraina - dicono - però qui forse la vita è migliore oggi».

La loro Ucraina oggi è devastata, e loro provano rammarico anche per la distruzione fisica delle città, per i palazzi, per il cimitero ebraico di Kiev. «A Kharkiv è stata distrutta una chiesa che aveva resistito alla Seconda guerra mondiale». Speranza immediata è che l'Occidente riesca a chiudere il cielo ucraino. «No fly zone». «Sarebbe un aiuto enorme - dicono - ci bombardano tutti i giorni». «Speriamo di risolvere tutto con la diplomazia. I russi non vogliono fermarsi. Putin dice che vuole liberare l'Ucraina? È un'invasione - risponde - vuole prendersi l'Ucraina, vuole tornare ai confini dell'Urss. Voleva dividerci, ma invece ci ha unito ancora di più. Avevamo bisogno da anni di un presidente come Zelensky, che vuole difendere il suo popolo fino alla fine. Siamo fieri di un presidente così».

Anna era bambina ai tempi dell'Urss. «Era dittatura, dovevi obbedire. Ora c'è la democrazia, la libertà, e vogliamo proteggerla».

«Chi è rimasto a combattere dice che preferisce morire piuttosto che perdere la libertà - riferisce - l'Ucraina non vuole la guerra ma difende la sua terra. Noi non ci possiamo arrendere. Questo è il nostro Paese, un Paese libero».

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