«Per anni nelle mani del racket: ogni mese pagavo 2mila euro»

«Per anni nelle mani del racket: ogni mese pagavo 2mila euro»

Tre anni di terrore, un tuffo al cuore ogni volta che si apriva la porta del negozio, giorno dopo giorno, fino all’arrivo degli sgherri. «Prepara i soldi, presto passeremo a riscuotere». Poi, magari dopo una settimana, arrivano gli esattori, incassavano i soliti 2.000 euro e «Arrivederci al mese prossimo». Così per tre lunghi anni, fino allo scorso Natale. «Questa è l’ultima rata, noi dobbiamo cambiare aria...Auguri». Ed era vero, l’incubo era finito. Mirella (nome di fantasia) era davvero libera, nessuno sarebbe più passato a pretendere il pizzo. Mirella è una signora di mezza età, diciamo attorno ai 60 anni. Bionda, non molto alta, un po’ tondetta «Lo stress, in questo periodo ho preso 15 chili, mica ero così nel 2008». Una famiglia senza problemi, il marito libero professionista, il figlio con un’avviata attività commerciale, abitazione di proprietà, seconda casa al lago, qualche soldo investito in box. Nel 2005, dopo anni nel settore immobiliare, apre un primo negozio (tralasciamo anche il settore commerciale) poi nel 2007 il trasloco a Città Studi e subito dopo inizia l’incubo.
Innanzitutto signora perché ha deciso di raccontare la sua storia?
«Perché voglio capire se sono stata l’unica scema in tutta la città a pagare, se mi sono spaventata per niente. Oppure se anche a Milano c’è un’organizzazione criminale che taglieggia i commercianti, alla faccia di chi dice che la mafia al nord non esiste».
Non perché ha delle mensilità arretrate con l’Aler?
«L’Aler avanza 30mila euro, ma in questi giorni sono in trattativa per vendere uno dei box, credo incasserò attorno ai 45mila euro, quindi potrò saldare il mio debito senza problemi».
Allora ci racconti, com’è iniziata?
«Mi ero da poco trasferita dalle parti di piazza Ascoli dove avevo preso in affitto due negozi chiusi da 15 anni, in pessime condizioni, ho investito 30mila per rimetterli in ordine. Passano poche settima poi un brutto giorno entra questo bandito».
Ce lo può descrivere?
«Certo, basso ma molto tarchiato, tra i 40 e i 50 anni, capelli brizzolati, unti, pelle butterata, indossava una cappotto spigato e con un forte accento del sud mi ha detto che avevo bisogno di protezione. Lì per lì non capivo e lui, senza battere ciglio “Significa 2.000 al mese, mille per negozio”. Mi sentii svenire, provai a balbettare che era un forte somma e lui imperturbabile “Arrangiati, so dove abiti tu e anche tuo figlio e tua nuora. E un incidente di macchina può capitare a chiunque. E in ogni caso non pensare di chiudere i negozi, ti troverei ovunque”. Spiegò infine che dal mese successivo sarebbero passati due incaricati a riscuotere e se ne andò».
E gli «incaricati» passarono ogni mese?
«Ogni mese e mai sempre gli stessi, cambiavano continuamente. Non c’era mai un giorno fisso, improvvisamente si materializzavano i primi due annunciando di preparare i soldi, quindi nel giro di qualche giorno passavano altri per incassare. Io non so, ma sembravano un esercito. Del resto faccia lei il conto, quattro diversi al mese per tre anni».
Lei non si mai confidata con nessuno, non ha mai parlato nemmeno in famiglia?
«Per un anno e mezzo mi sono tenuta tutto dentro poi ho raccontato tutto a mio marito e mio figlio. Ma il timore di rappresaglie era troppo forte e ho continuato a pagare».
Perché non ha avvertito le forze dell’ordine?
«E cosa avrebbero potuto fare, mettermi una guardia davanti al negozio? Accompagnarmi a casa tutte le sere? Non lo so, ero confusa. A maggio dell’anno scorso non ho pagato, spiegando che non ce la facevo più. E il sabato successivo mi hanno rubato la borsa dalla macchina poi sono ripassati per chiedermi “se mi bastava o se volevo di peggio” e ho ripreso a pagare».
A Natale infine il più regalo della sua vita.
«Già, l’ultima rata. Me li sono trovati sotto casa, mi ha chiesto se avevo preparato i soldi, io sono salita, ho preso i 2.000 euro gliel’ho consegnati e loro “Ora se libera, noi dobbiamo cambiare aria...Auguri». E da allora non li più visti».
Lei ora sarebbe pronta a denunciare quanto subito per tre anni?
«Adesso si».
Ed è in grado di riconoscere i suoi aguzzini?
«Solo uno, il primo quello che ritengo fosse il capo, gli altri cambiavano continuamente. Ma non credo la polizia debba andare troppo lontano. Un paio di volte ho avuto il coraggio di uscire a guardare dove andavano gli estorsori, e li ho visti entrare nel portone del condominio Aler dove ho il negozio».


Sa di altri negozianti che pagano il pizzo nella sua zona?
«Lei crede che queste siano cose di cui si possa parlare, cose che si possono chiedere o viceversa confidare? Posso solo esprimere un’impressione: molti altri negozianti pagano. Pagano e stanno zitti. E così tutti possono dormire sonni tranquilli, pensando che a Milano queste cose non succedano».

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