Apartheid e razzismo 60 anni di Sud Africa in mostra al Pac

Apartheid e razzismo 60 anni di Sud Africa  in mostra al Pac

Raccoglie il lavoro di quasi 70 tra fotografi, artisti e registi, che attraverso le immagini hanno saputo raccontare, sensibilizzare, trasmettere in tutto il mondo il dramma dell'Apartheid la mostra che si apre il 9 luglio al Pac. Fotografie, film, video, documenti, poster e periodici, che documentano uno dei periodi storici cruciali del XX secolo, le cui conseguenze affliggono tuttora la società sudafricana, e l'importanza del ruolo di Nelson Mandela. L'importante rassegna, che ha già riscosso significativi consensi negli Stati Uniti e in Europa, si intitola «Rise and fall of Apartheid: Photography and the Bureaucracy of Everyday Life (Ascesa e declino dell'Apartheid: fotografia e burocrazia della vita quotidiana)» ed è stata ideata dall'Icp International Center of Photography di New York, mentre l'edizione milanese è promossa e prodotta dall'assessorato alla Cultura, dal Pac e da Civita. Frutto di oltre sei anni di ricerche, il progetto espositivo ha appunto lo scopo di registrare e analizzare, attraverso 60 anni di fotografia, l'eredità dell'apartheid e i suoi effetti sulla vita quotidiana in Sud Africa. L'Apartheid, parola olandese composta da «separato» (apart) e «quartiere» (heid), è stata infatti la piattaforma politica del nazionalismo afrikaner prima e dopo la seconda guerra mondiale, con il fine di promuovere la segregazione razziale e mantenere il potere nelle mani dei bianchi. Nel 1948, dopo la vittoria dell'Afrikaner National Party, l'apartheid si è dunque imposta attraverso un'ampia serie di programmi legislativi fino a determinare la riorganizzazione di tutte le strutture civili, economiche e politiche. Un sistema che con il tempo è diventato sempre più spietato nei confronti degli africani e delle altre comunità non bianche, fino a coinvolgere ogni aspetto dell'esistenza, dalla casa al tempo libero, dai trasporti all'istruzione, dal turismo alla religione e ai commerci. La mostra parte dall'idea che la fotografia, trasformando il proprio linguaggio da mezzo puramente antropologico a strumento sociale, sia stata subito in grado di cogliere la situazione del Sud Africa e della lotta all'apartheid nel modo più critico e incisivo possibile, raggiungendo una profonda complessità illustrativa e una penetrante introspezione psicologica. A dimostrarlo nella mostra milanese il lavoro dei membri del Drum Magazine negli anni '50, dell'Afrapix Collective degli anni '80 e i reportage del cosiddetto Bang Bang Club.

E non mancheranno opere eccezionali di fotografi sudafricani all'avanguardia quali Leon Levson, Eli Weinberg, David Goldblatt, Peter Magubane, Alf Khumalo, Jurgen Schadeberg, Sam Nzima, Ernest Cole, George Hallet, Omar Badsha, Gideon Mendel, Paul Weinberg, Kevin Carter, Joao Silva e Greg Marinovich. Esposte anche le immagini dei protagonisti delle nuove generazioni, tra cui Sabelo Mlangeni e Thabiso Sekgale, che esplorano le conseguenze che ancora oggi l'apartheid produce nel paese.

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