«Signora, lei non ha mai avuto alcun tumore». Una buona notizia? No, se la paziente in questione ha appena subito l'asportazione completa dello stomaco sulla base di una diagnosi di cancro rivelatasi «totalmente sbagliata». A denunciare quello che appare un clamoroso caso di malasanità è una donna di 53 anni residente a Sesto San Giovanni, operata appunto secondo la Procura di Monza, «per errore». A processo per lesioni colpose gravissime sono finiti due chirurghi, un uomo e una donna di 69 e 40 anni, dell'Irccs Multimedica di Sesto. La prossima udienza è fissata per martedì davanti al giudice Angela Colella.
I fatti risalgono alla primavera del 2016. La donna, assistita al processo dall'avvocato Francesco Cioppa, va in ospedale dopo un incidente stradale non grave avuto con il marito. Nei giorni seguenti ha sintomi come mal di testa e nausea, viene quindi ricoverata. Vengono effettuati gli esami, tra gli altri Tac addominale e gastroscopia con biopsia. Alla paziente i medici dicono che ha un'ulcera, ma al marito comunicano la terribile diagnosi: «Tumore maligno allo stomaco». Per fortuna, aggiungono, è operabile. La signora verrà sottoposta a una gastrectomia totale. Nell'atto di citazione diretta a giudizio il pm Alessandro Pepè accusa: l'intervento è stato fatto «in maniera avventata e, comunque, in assenza di necessità terapeutiche, con un consenso informato prestato solo in relazione a una diagnosi di tumore maligno dello stomaco rivelatasi totalmente sbagliata e priva di qualsiasi riscontro». E «senza attendere» gli esiti dell'esame istologico. I referti, negativi, arriveranno due giorni dopo l'operazione.
La paziente viene dimessa con ampie rassicurazioni sull'esito dell'intervento. Si ripresenta per un controllo, sempre oncologico, alcuni giorni dopo. Qui, spiega nella denuncia, una dottoressa «con un enorme sorriso e con grande disinvoltura, probabilmente convinta di darci una notizia per noi positiva» comunica che non c'era alcun tumore, solo un'ulcera. Patologia, scrivono i consulenti del pm, che richiedeva una semplice «terapia farmacologica». Dopo questa «mutilazione» la paziente ha perso 30 chili. È stata ridotta, racconta, «a uno scheletro vivente». L'avvocato Cioppa sottolinea «l'inaudita gravità del comportamento negligente e imperito mantenuto dagli imputati e l'incomprensibile e inaccettabile indifferenza mostrata sia da questi, sia soprattutto dalla struttura sanitaria in cui operavano e operano, nei confronti delle sorti della paziente e delle immani sofferenze a costei inferte». Multimedica, responsabile civile nel processo, spiega: «Il chirurgo ha sostenuto con la nostra struttura sanitaria di essere intervenuto su un organo malato, nel primario interesse della paziente e nel pieno rispetto delle regole della scienza medica».
La struttura si dice «scossa» dalle accuse e aggiunge che l'intervento è stato «eseguito, come primo operatore, da un valente e stimato professionista, che opera presso il Gruppo da oltre 15 anni, con oltre 10mila interventi all'attivo».
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