É uno dei gesti più antichi del mondo, ha un posto indiscusso nella top ten della eloquenza non verbale. La sentenza della Cassazione lo descrive così: «caratterizzato dai pollici ed indici aperti, che sta ad indicare ti faccio un culo così». Autore del gesto, secondo la sentenza, un avvocato: che peraltro dice di non averlo mai fatto. Destinatario: un giudice, che peraltro nega di averlo mai visto. Ma la giustizia, inesorabile, ha fatto il suo corso. Condanna in primo grado, condanna in appello. E ora la Cassazione dichiara inammissibile il ricordo dell'avvocato e rende definitiva la condanna. Venti giorni di carcere, pena sospesa.
Tutto accade in un'aula del tribunale di Como, nel gennaio 2013. Una udienza con processi a raffica. Il giudice si chiama Marzio Valerio, e stoppa a ripetizione le domande che un difensore fa a un teste. In aula, in attesa del suo turno, c'è l'avvocato Roberto Simone: 75 anni, vecchio combattente del Foro lariano, fratello dell'ex sindaco socialista Sergio Simone. Di fronte alla severità del giudice verso il collega, Simone interviene a voce alta. «Feci presente al giudice che in questo modo non era imparziale e non faceva giustizia», ricorda ora. La cosa sembra finire lì. Ma mesi dopo a Simone arriva l'avviso di garanzia della procura di Brescia, competente per i reati ai danni dei giudici comaschi: articolo 343 del codice penale, «oltraggio a un magistrato in udienza». Nel capo di imputazione si legge che il legale avrebbe «pronunciato la frase questo giudice impedisce le difese degli avvocati e rivolto al suo indirizzo il gesto e la frase gli faccio un culo così».
Vengono interrogati tutti i presenti in udienza: cancelliere, stenografi, difensori. Quasi tutti dicono di non avere visto niente. Un paio confermano di avere visto il gesto. Il diretto destinatario, il giudice Valerio, nega di avere percepito né il gesto né l'invito. Così l'accusa nei confronti dell'avvocato si modifica strada facendo: il gesto non sarebbe più rivolto al giudice ma all'uditorio, della frase non c'è più traccia. Ma sia il tribunale che la Corte d'appello condannano l'avvocato intemperante.
Ora la Cassazione chiude la vicenda. L'oltraggio, dice la Suprema Corte, esiste anche se il destinatario non se ne accorge nemmeno: il gesto, «percepito o meno dal magistrato, era comunque riconoscibilmente volto a lederne il prestigio, vulnerando l'efficacia e la credibilità della sua azione nel corso dell'udienza». E la sentenza ricorda «l'intera condotta tenuta in quel peculiare frangente dal ricorrente, connotata dagli interventi a sostegno del collega e dalle censure in ordine conduzione dell'udienza da parte del magistrato».
Ma lei avvocato Simone, il gesto l'ha fatto?
«No».
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