Cronaca locale

Banditi della «maschera»: si ispiravano a Gomorra

Sono tre milanesi autori di 25 rapine. Messe a segno con «facce» di lattice come nella serie tv

La serie televisiva «Gomorra» nella mente, nella fantasia (malata), nella megalomania di una banda di rapinatori di banche con velleità da criminali di spessore. Che avevano bisogno di gasarsi, sì. Cantando canzonette napoletane tra un colpo e l'altro e indossando maschere di lattice. Ma realisti al punto da tatuarsi sulla tempia, come si legge nell'ordinanza di custodia cautelare A capa mia non è bona. Segno che, in fondo, consci della loro limitatezza lo erano eccome.

In realtà di partenopeo questi malviventi avevano solo le loro elucubrazioni mentali. Questa la banda «della maschera in lattice» sgominata dai militari della squadra antirapine, guidati dal maggiore Cataldo Pantaleo della seconda sezione del nucleo investigativo diretto dal tenente colonnello Michele Miulli all'interno del comando provinciale dei carabinieri di Milano. I tre della banda «della maschera di lattice» - autori di 25 rapine (tra tentate e consumate, 22 in banca, 2 a supermercati e una in gioielleria) per un bottino finale - agivano a Milano ma soprattutto nell'hinterland a nord di Milano dalla fine del 2014 tra Milano, Cormano, risponde: Bollate, Arese, Bareggio, Novate Milanese, Baranzate, Cesano Maderno, Cornaredo, Vittuone e Trecate (Novara). In realtà, sono tutti milanesi di Quarto Oggiaro. Due fratelli di 26 e 28 anni d'età, Claudio e Jari Viotti, e un complice 25enne, Davide Graziano. Secondo il l procuratore aggiunto Riccardo Targetti e il sostituto procuratore Luigi Luzi, che hanno coordinato le indagini dei carabinieri, sono responsabili a vario titolo di sequestro di persona, rapina, furto, ricettazione e persino tentato omicidio.

I tre si incitavano l'un l'altro alla violenza, aspettando il momento propizio per aprire il fuoco. Perché «la licenza - dicono al telefono i banditi - è anche quella di uccidere». Il 17 novembre 2015 infatti uno di loro sparò infatti sei colpi di pistola contro un carabiniere, ferendolo alle gambe, durante una rapina all'agenzia della Ubi banca di via Magenta, a Cornaredo.

«Il loro desiderio? Finire sui giornali dopo essere morti in azione, sparando alle forze dell'ordine - ha spiegato ieri mattina Targetti -. Nell'adrenalina che scorre nelle loro vene il piano è: usciamo e spariamo"».

«Sei botti gli ho tirato! Io in mente avevo già pensato a tutto. Al primo me lo secco al volo, e l'altro lo piglio a tiro - si raccontano subito dopo i fatti - Appena ci hanno visto correre verso la moto sono venuti subito. Fa: Fermi, a terra! A terra!. Pam pam!».

Lasciare vittime sul proprio cammino non era un problema. C'è una conversazione in cui uno dei rapinatori parla della una fuga dopo un colpo e della fortuna per aver evitato un omicidio. «Io così ho fatto l'incidente a Bonola. Sorpassato l'autobus acchiappando la vecchia, meno male che non è morta». E il complice gli risponde: «Ma sì, che c... te ne frega, anche se moriva!»).

A partire dalla fine del 2014 i tre hanno seguito lo stesso copione: oltre alla maschera bianca, armi da fuoco, giubbotti antiproiettile indossati sotto gli abiti e fuga su moto di grossa cilindrata rubati.

PaFu

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