Il bar sembra un circolo di paese

L'appalto imponeva regole precise sul livello del servizio da offrire. Ma i clienti sono delusi

Il bar sembra un circolo di paese

Un piccolo bar di paese, come quelli di una volta: il frigo dei gelati, le seggiole di plastica, le tovagliette di carta. Unica concessione alla modernità, il menu scarabocchiato su una lavagnetta: «Spriz sbagliato 5 euro, chupito 2,50». Eccolo qua il bar della Darsena, quello che secondo il bando del Comune doveva diventare un fiore all'occhiello per il bacino dei Navigli, portando attività «non solo di somministrazione ma anche culturali, formative e informative su vari temi, quali ad esempio il cibo e la salute»; e non solo, perché «l'offerta culinaria dovrà essere di qualità e all'interno del locale dovrà essere sviluppato un concetto di somministrazione esclusiva e innovativa con serate a tema e percorsi enogastronomici ricercati che valorizzino le molte sfaccettature del tema food (menù regionali e internazionali)». E insieme alla qualità del cibo si doveva badare all'estetica, offrendo «una immagine degli ambienti di esercizio di alto livello, l'esercizio infatti contribuisce come fattore di spicco all'immagine complessiva del Mercato e della zona Darsena, nell'ambito del progetto di riqualificazione».

Insomma, nei piani del Comune doveva essere un piccolo gioiello. La posizione, d'altronde, è da urlo: all'estremità occidentale del nuovo mercato rionale, affacciato sulla grande passeggiata che costeggia la Darsena restituita e nuova vita. Nel bando che l'anno scorso aveva messo all'asta la gestione del bar, l'obiettivo di farne un punto di eccellenza, all'altezza della prestigiosa collocazione, era chiaro. Ma quando il 26 aprile è stata inaugurata la nuova sistemazione di piazza XXIV Maggio, le torme di milanesi arrivati in Darsena si sono trovati davanti un baretto come mille altri se ne possono trovare nelle strade della periferia milanese. Nessuna traccia delle «serate a tema», né dei percorsi enogastronomici previsti per quello che è, secondo lo stesso Comune, «lo spazio più prestigioso della intera struttura mercatale».

Così, inevitabile, è partito il mugugno degli sconfitti della gara d'appalto. Ad assegnarsi il bar è stata una società, la Miki Food srl, di proprietà di Michele Sterlacci, pugliese di Giovinazzo. La Miki Food ha sede a Verona, a Milano ha gestito un bar in posizione non centralissima, - via Raffaele Lambruschini, nel cuore della Bovisa - mentre a Bardolino, in Veneto, ha mandato avanti con qualche polemica il Gran Caffè Municipale: alcune mamme del paese hanno protestato perché per attirare i giovani clienti vi si vendevano gli shottini superalcolici a un euro l'uno, oltre a piazzare dietro il banco una bionda e procace fanciulla. Ma Sterlacci ha spiegato ugualmente al Comune di essere l'uomo giusto per realizzare sulla Darsena le «attività culturali, formative ed informative su vari temi (quali ad esempio il cibo e la salute) finalizzate alla aggregazione sociale». E a novembre dello scorso anno, quando sono state aperte le buste, la sua offerta è risultata vincente.

La Miki Food si è piazzata al primo posto con 74 punti, battendo avversari più blasonati come la Fapi Corporation, che gestisce da anni Le Biciclette in Conca del Naviglio e la Food Society, dietro la quale c'è Enrico Bartolini, chef stellato del Devero di Cavenago. Niente di grave, si badi: è sempre possibile, e a volte è un bene, che il nuovo sconfigga l'esperto. A portare alla vittoria Sterlacci è stata, in questo caso, soprattutto l'offerta economica, con un robusto rilancio sui 16mila euro annui messi dal Comune come base d'asta.

Ma dal giorno dopo l'aggiudicazione, i concorrenti sconfitti hanno iniziato a tenere d'occhio la situazione sulla Darsena, per verificare se il vincitore avrebbe rispettato l'impegno a realizzare, entro il termine tassativo fissato dal bando, i lavori e le attività legati al bando. Ma non è accaduto nulla.

Sono arrivati bancone e tavolini, il bar ha aperto i battenti, ma non si è vista traccia né degli arredi prestigiosi, né delle attività culturali, né tantomeno della «pluralità diversificata di offerta giornaliera che comprenda colazione, pausa pranzo, aperitivo serale, proponendo prodotti di qualità e differenziati, con una spiccata attenzione anche alle varie fasce di utenza» prevista dal bando.

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