Bere alla moda, sfilano i nuovi drink

Mappa estiva per sorseggiare in città qualcosa di fresco e dal sapore originale

Si può dire che Milano è la città dei cocktail? Mojito, spritz, gin tonic, piña colada: nel resto d'Italia, se vogliamo escludere la capitale e qualche rara eccezione, che sia l'ora dell'aperitivo o del dopo cena, al momento di ordinare un cocktail spesso si cade sui soliti noti. Milano è la patria di chi ama l'arte della miscelazione, l'offerta è la più ampia, cosmopolita e meglio assortita d'Italia. I cocktail bar crescono a dismisura e non c'è da sorprendersi se il nostro drink può costare dai 10 euro in su. Patria del primo talent dedicato ai bartender (diventeranno le nuove star quando declinerà la parabola degli chef?), Milano è sempre attenta alle nuove tendenze: un incremento di speakeasy, i bar che durante il periodo del proibizionismo in America vendevano illegalmente alcolici, oggi nascosti ai più, vi si può accedere solo con una parola d'ordine o una raccomandazione da amici che ne hanno libero accesso, finché, con la frequentazione, si conquista la fiducia del barman.

È il caso del 1930 a Porta Venezia, progetto del barman Flavio Angiolillo, già capo del Mag sui Navigli, che ha creato un luogo solo per i più affezionati, stile anni '30; vicino al The Yard, riferimento nel mondo della mixology. Attraverso una porta segreta, si accede a un divertente speak easy in stile cinese, dove sono offerti cocktail fusion per sei sedute. Milano vanta anche il cappello della ricerca: tra i fari del mondo della mixology il padre Dario Comini, del Nottingham Forest, vicino a corso Concordia, il primo a usare tecniche di cucina molecolare nei drink. Nella patria dei cocktail anche il bar più piccolo del mondo, il Backdoor 43, in Ripa di Porta Ticinese: solo due posti, con un bagno extralarge che ha rischiato di far perdere il primato, ben 11 mq tutti vintage.

Ma la mixologia ha attirato anche l'attenzione degli chef: Davide Oldani ha creato una drink experience durante il pasto al D'O che non è solo un «complemento d'arredo», ma un'occasione conviviale che esalta la cucina stessa».

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