«Devo anche parlare? Ho pagato anch’io i mille e cinquecento euro, pensavo di poterlo evitare». Una sola battuta perché in questa campagna elettorale c’è poco da ridere. I magistrati («la patologia peggiore»), la stampa, le televisioni ammalate di gossip, una sinistra con «cui non ho nessuna speranza che si possa andare a discussioni franche e concrete». Senza leader e «ammanettata al campione del giustizialismo». L’atmosfera è quella soft del Palazzo del ghiaccio di via Piranesi tutto bianco e luci azzurre, ma il veleno c’è. E Silvio Berlusconi dice di non riuscire a fingere, di avere «il cuore gonfio». Di fronte i cento tavoli, anzi centouno, da dieci posti ciascuno organizzati in una cena di gala per raccogliere gli ultimi fondi da destinare alla campagna elettorale di Roberto Formigoni. Mille in tutto a 1.500 euro l’uno. Tanti imprenditori, un sottosegretario (Daniela Santanché), assessori (Maurizio Cadeo e Alan Rizzi), presidenti (Loris Zaffra dell’Aler e Sergio Galimberti dell’Amsa), Antonio Intiglietta (Gefi), politici (Guido Podestà, Lara Comi e Licia Ronzulli), Carlo Borsani, i candidati pdl Federica Zanella e Massimo Buscemi (gli altri hanno preferito far campagna altrove), il fratello Paolo. Sui tavoli i fiammiferi di Formigoni e il libro di Berlusconi «L’amore vince sempre sull’invidia e sull’odio». Di questi tempi più una speranza che un titolo. Brucia ancora la ferita delle liste del centrodestra fatte fuori a Roma. «Abbiamo inviato i nostri militari in Afghanistan - si accalora Berlusconi - per garantire la democrazia e a quel popolo il diritto di votare. E qui ce lo impediscono. Noi non possiamo votare a Roma che è la nostra capitale. Per coerenza dovremmo ritirare i nostri ragazzi». Applauso. Il più lungo della serata. I complimenti, invece, sono per gli imprenditori lombardi che hanno battuto la crisi. «Lo so, perché anch’io sono un imprenditore e il termometro della pubblicità mi dice che c’è una risalita, la luce in fondo al tunnel». Ma un altro compito aspetta chi fa impresa. Gente «di coraggio e responsabilità che ora ha il dovere di fermare la sinistra e dare al Paese un destino liberale».
Sul palco sale Formigoni. Impeccabile abito scuro, cravatta azzurra. «Secondo i dati in mio possesso - arringa - la Lombardia se la sta giocando pari a pari con la Baviera. Tutte le altre migliori regioni d’Europa sono ormai dietro». Il risultato, spiega, dell’azione congiunta delle istituzioni («abbiamo destinati un miliardo e 500 milioni ai fondi per aiutare le imprese») e delle aziende. «Usciremo dalla crisi», promette prima di passare alla politica più stretta. «I venti negativi che la sinistra voleva far soffiare contro di noi - arrochisce la voce - si stanno ritorcendo contro di loro». E ricorda la manifestazione di sabato a Roma. «C’era tanta bella gente. Il nostro popolo. Bello, gioioso, fatto di persone che lavorano e senza grilli per la testa. Un popolo davanti al quale noi candidati governatori ci siamo presi degli impegni. Altro che giuramento nelle mani del feudatario come hanno detto». La promessa? «Difendere i diritti dei cittadini, aiutarli nelle battaglie di tutti i giorni. Questo è il grande patto che abbiamo stretto con Berlusconi». Nessun vassallaggio, «ma un impegno». La promessa? «La crescita economica e culturale delle nostre regioni».
Scherza Berlusconi e lo invita a sedersi. «Voi giovani vi stancate a fare le campagne elettorali». Poi nega che ci sia una nuova Tangentopoli. «Un caso isolato a Milano e i giornali pronti con i titoloni».
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