Biennale e «Camparino» la scoperta di D'Andrea un maestro dimenticato

Strani giri fa il destino. Capita che uno come Angiolo D'Andrea abbia vinto la Biennale di Venezia nel '22, abbia collaborato con Camillo Boito alla sua «Arte italiana», abbia decorato interni e palazzi di Milano (compreso il Bar Camparino di Galleria Vittorio Emanuele), e resti un nome sconosciuto ai più. Succede. Angiolo D'Andrea, nato in provincia di Pordenone nel 1880, carattere ruvido da friulana, a Milano trova fortuna: tra i primi del Novecento e gli anni Quaranta collabora con i maggiori maestri del tempo, s'innamora del Divisionismo, poi vira al Simbolismo e a una pittura sempre ricca di afflato spirituale. Riceve riconoscimenti, come a Venezia, e commissioni importanti, ma poi qualcosa s'inceppa: vuoi l'avvento del Fascismo che su una personalità dal carattere così schivo non ha presa, vuoi i cambiamenti repentini sulla scena dell'arte (vedi alla voce Avanguardie), fatto sta che D'Andrea si isola nel suo mondo. Quando si ammala, sono i primi anni Quaranta, decide di tornare nel paese natale. Che fare di tutte le opere ancora invendute raccolte nello studio? Il destino ci mette di nuovo lo zampino: un illuminato imprenditore del ramo farmaceutico, Elio Bracco, visita su suggerimento del comune amico Riccardo Fontana lo studio e si convince subito del valore dei suoi lavori. Li compra in blocco, così da non disperdere la collezione del pittore che di lì a un anno morirà. Bracco non solo prepara un catalogo generale dell'artista friulano, ma concepisce una mostra postuma in suo omaggio senza però riuscire a realizzare il suo sogno. Questa mostra si realizza ora, a Palazzo Morando: «Angiolo D'Andrea. La riscoperta di un maestro tra Simbolismo e Novecento» (fino al 17 febbraio, catalogo Skira), prodotta da Fondazione Bracco con Skira editore e Comune e curata da Luciano Caramel «risarcisce» tanti anni dopo l'artista friulano che scelse Milano come città d'adozione. Un viaggio affascinante, quello nelle eleganti sale del Palazzo situato nel cuore del Quadrilatero della moda: 140 circa le opere esposte, tra disegni, dipinti, decorazioni architettoniche, tutti eseguiti nei primi 30 anni del Novecento. Alla collezione D'Andrea, salvata dalla dispersione dalla generosità di Elio, nonno di Diana Bracco, attuale presidente del gruppo, vanno ad aggiungersi una quindicina di opere provenienti da vari museo, tra cui il Mart di Rovereto. Diversi i temi della mostra, che si apre sui lavori paesaggistici che strizzano l'occhio al Divisionismo e che ha forse il suo apice nella sezione simbolista, là dove D'Andrea dimostra di avere ben assimilato la lezione di Segantini. Tra le opere più affascinanti, la «Gratia plena» del '22 (che gli valse il riconoscimento alla Biennale) e le delicatissime maternità.

La natura ha un ruolo centrale nella produzione: molti i paesaggi e luoghi noti milanesi ritratti ma anche le nature morte concepite da un artista poliedrico, che al canto delle sirene del Fascismo o del Futurismo preferì una pittura più composta e meditata, ma non per questo meno intensa.

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