Rischia di essere piuttosto lungo il soggiorno in carcere dei cinque estremisti di sinistra arrestati nel corso della violenta manifestazione del Primo Maggio. La Procura e la Digos hanno deciso di schiacciare sull'acceleratore delle indagini, con un obiettivo immediato, quello di evitare la scarcerazione degli arrestati, e con uno più generale: mandare un segnale forte al mondo degli antagonisti. Se la gestione dell'ordine pubblico il Primo Maggio è stata morbida, non lo sarà quello dell'inchiesta. L'obiettivo è di individuare uno per uno il maggio numero possibile di partecipanti alle devastazioni, e chiamarli al momento opportuno a renderne conto.
Il primo a sperimentare il trattamento sarà oggi Jacopo Piva, uno dei fermati nei momenti conclusivi del corteo. Piva attraverso il suo legale Loris Panfili ha presentato ricorso al tribunale del riesame contro l'ordine di cattura per resistenza aggravata spiccato nei suoi confronti. Ma in vista dell'udienza i pm Maurizio Romanelli e Piero Basilone hanno depositato nuovi documenti d'accusa. Piva durante il primo interrogatorio ha sostenuto di non interessarsi di politica, di essersi trovato per caso in mezzo agli scontri, e che la maschera antigas con cui è stato sorpreso non serviva a proteggersi dai lacrimogeni ma dallo smog cittadino, «sa, io vado sempre in bicicletta». Peccato che tra le nuove carte depositate dalla Procura ci siano immagini inequivocabili, che lo ritraggono mentre partecipa attivamente alle opere di devastazione. Piva non era lì per caso nè per manifestare pacificamente, dicono i pm. Che per questo chiederanno al tribunale di tenere il giovanotto in galera insieme ai suoi compagni dalla «indole estremamente violenta», come ha scritto il gip Banci Bonamici nell'ordine di custodia.
Il fatto che nel giro di una manciata di giorni la polizia sia riuscita a trovare, nelle migliaia di immagini scattate durante il finimondo no-Expo, quella che oggi verrà usata per incastrare Piva è un segno della velocità con cui stanno procedendo le indagini. Il fascicolo ipotizza il reato di devastazione, punito fino a quindici anni di carcere, che già in un'altra occasione (le violenze in corso Buenos Aires del 2006) è stato confermato fino alla sentenza definitiva della Cassazione. Ma non è tutto. Se l'analisi dei video confermerà (come pare) che l'operazione è stata pianificata a tavolino e condotta da gruppi organizzati di antagonisti potrebbe scattare anche l'accusa di associazione a delinquere.
Sotto i passamontagna e le tute nere, secondo le indagini, c'erano sicuramente ultras arrivati da fuori, anche dall'estero: come i cinque francesi catturati poi a Genova, o elementi dell'ultrasinistra greca.
Ma lo zoccolo duro era composto da italiani e soprattutto da milanesi.Perchè l'analisi dei video e delle foto sia completa, saranno necessari sicuramente dei mesi. Ma non è detto che la Procura aspetti cosìa lungo per partire all'attacco contro chi ha devastato la città.
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