Un boato scuote il Duomo: «I re d’Europa siamo noi»

Dai Navigli a Loreto città paralizzata dai caroselli dei tifosi Bagni e tuffi nelle fontane

Scivola piano piano oltre la linea bianca, verso la gloria della settima Champions, quella palla sfiorata appena dal piedino magico di Superpippo. Il silenzio della piazza Duomo rossonera accompagna il cammino della sfera in fondo alla rete. Il gol vittoria, perché - a una manciata di secondi dalla fine - il 2-1 dei Reds fa solo il solletico alla voglia di vincere dei ragazzi milanisti. Poi il boato liberatorio dei trentamila, e la vendetta che si consuma, scaccia via i fantasmi di Istanbul. In cielo sale un grido «i Campioni d’Europa siamo ancora noi», proprio come quella Coppa dalle grandi orecchie in versione palloncino. Sfuggita via dalle mani della bambina bionda in braccio al papà, e che non ora la smette più di fare festa.
Simbolo di una gioia che non ammette limiti. Emozioni lunghe nove mesi, da agosto durante tutto l’inverno e culminate in una serata capricciosa di primavera. Perché sotto i lampi di un temporale che sembrava venir giù da un momento all’altro, il popolo della Sud nei primi minuti della partita aveva trattenuto il respiro, assiepato sotto il megaschermo, a coprirsi gli occhi dagli attacchi di Gerrard e compagni. Fino alla punizione di Pirlo, naturalmente. Ogni tifoso del Milan sapeva che quella era la palla giusta per scrollarsi di dosso i timori. E così è stato. Ieri sera no, non c’era spazio per le rimonte. Già nell’intervallo si facevano le prove generali per il baccano d’inferno che sarebbe scoppiato soltanto un’ora più tardi. La fiducia nella vittoria era fondata, e come nei sogni più dolci, tutto è andato come doveva andare. Sullo schermo Maldini alza il trofeo, il Diavolo s’impossessa di Milano. I caroselli dei cugini interisti, solo un mese fa, ormai sbiadiscono al confronto della follia a tinte rossonere. Partono subito i cortei in auto, in moto, in bicicletta. Il risultato è un unico serpentone esultante, dalle sponde dei Navigli a piazza Cinque Giornate, da Porta Venezia lungo corso Buenos Aires con epicentro sotto la Madonnina. Traffico bloccato, qualche contuso per fortuna in maniera non grave. Pazienza, «per il Milan stiamo qui tutta la notte», dicono gli ultrà che non hanno potuto essere ad Atene. Fanno sul serio. Ovunque sciarpe e bandiere. Clacson, fuochi d’artificio, trombette e cori da stadio. Colonna sonora di un mercoledì in cui la città si accomoda sul tetto d’Europa.
Il resto sono storie di gente abituata a vivere serate come questa. Giovanni: «Domani farò tardi al lavoro, ma che importa?».

Martina: «Mia madre non lo sa, sono venuta a studiare qui per stare vicino al Milan». Roberto: «Guarda i tatuaggi». Sul petto, sulle braccia, sulla schiena mostra sette coppe d’argento. Stappa l’ennesima birra e poi giura: «Domani corro a farmi disegnare l’ottava».

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