Cronaca locale

La bocconiana conquistata da Cl e da Ismail

Anna Yi Li ha ventitré anni, è una «bocconiana», e Martina Colli Lanzi, la sua madrina, è una sua compagna di studi che di anni ne ha ventiquattro. Raccontano a voci alternate la storia di vita che ha condotto Anna, cinese di origine, milanese di nascita, a ricevere il battesimo durante la Veglia di Pasqua in Duomo. «Siamo amiche, facciamo l'università insieme. Anna è finita per caso al Sacro Cuore, una scuola di Comunione e liberazione, e ha cominciato a conoscere Cl - racconta la giovane madrina -. Noi ci siamo conosciute in università, abbiamo condiviso la vita molto semplicemente e l'anno scorso, in febbraio, mi ha chiesto di farle da accompagnatrice al battesimo. Insieme abbiamo chiesto a don Ambrogio, cappellano della Cattolica, di seguirla nel percorso. Siamo andate agli incontri della Diocesi per i catecumeni, poi lei ha usato tanto anche i testi di don Giussani».

Nella lettera di invito al battesimo che ha mandato agli amici, Anna racconta come il seme della fede sia cresciuto di nascosto: «Frequentavo le attività per non sentirmi esclusa e al liceo, durante l'anno a Londra, meno partecipavo meglio stavo». L'unico momento ad averla colpita è stato il Triduo Pasquale del quinto anno: «Com'è possibile riunire migliaia di ragazzi di diciotto o diciannove anni davanti a un prete? Non era un concerto, non era una partita di calcio eppure eravamo tutti lì».

Alla Bocconi, dopo sei mesi tra studio e serate fuori, la svolta: «A febbraio, dopo una vacanza ad Amsterdam con un gruppo di amici, sono tornata a casa molto triste, mi sentivo vuota, ho pianto per una settimana». Ha deciso di tornare a frequentare gli incontri di Cl e di dedicarsi alle opere di carità nella comunità «Kayròs», grazie alla quale ha conosciuto Ismail: «Mi fa sorridere quando mi chiedo: com'è possibile che ho visto Cristo in un marocchino delinquente, l'ultimo arrivato?». È successo: «La prima volta abbiamo fatto le lasagne insieme. Ha passato la sua infanzia con un padre drogato che picchiava la madre; mi guardava come se fossi una dea». Non solo rose e fiori: «Scopro che è finito un mese in carcere. Al ritorno, mi ha detto che gli ero mancata in quel mese terribile e che una sera aveva pensato di commettere un gesto forte contro se stesso. Ho riscoperto anche il valore della preghiera, ho davvero pregato tanto per lui». Una strada piena di volti.

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