Cronaca locale

Bonifica a Santa Giulia L'unico scandalo è quello della giustizia

Tutti gli imputati prosciolti grazie alla prescrizione Inchiesta ferma per anni. E smontata un po' alla volta

L'affare Santa Giulia non è stato solo un caso giudiziario, ma uno scandalo ambientale, politico, urbanistico, e quant'altro: tanto da avere persino innescato, nei giorni scorsi, come ultimo cascame, il casus belli che ha portato alle dimissioni del vicesindaco Lucia De Cesaris. Ma ieri l'unico processo ancora aperto sulla vicenda del quartiere costruito sulla vecchia area Montedison di Rogoredo esala l'ultimo respiro prima ancora di essere arrivato alla fine: il giudice Giulia Turri prende atto che le flebili accuse ancora aperte sono ormai cancellate dalla prescrizione, e proscioglie gli imputati. Fine.

Lo scandalo si è smontato e ha perso pezzi strada facendo, il poco che ne restava è stato inghiottito dai tempi lunghi della giustizia. Un esito che lascia l'amaro in bocca agli eredi dell'uomo indicato come il regista dello scandalo, e che non è vissuto abbastanza per vedersi assolvere e prescrivere: Giuseppe Grossi, «re delle bonifiche», che venne arrestato e tenuto in carcere nonostante una perizia medica ordinata dallo stesso giudice facesse presente che era a rischio di lasciarci la pelle.

La sentenza pronunciata ieri riguarda il proprietario dell'area, Luigi Zunino, e altre nove imputati tra cui l'ex dirigente del settore bonifiche del Comune, un collaboratore di Grossi, diversi impresari edili e uno dei maggiori specialisti del business delle bonifiche ambientali Claudio Tedesi. Fin dal 2009 la Procura li aveva accusati tutti di avere, in combutta con Grossi, trasformato la bonifica dell'area dismessa in una presa in giro: ripulendo solo per finta i terreni dagli inquinanti accumulati nei decenni, e permettendo che un quartiere con migliaia di abitanti sorgesse su un sito contaminato e su una falda acquifera avvelenata. La scoperta dei veleni di Santa Giulia aveva seminato il panico tra gli abitanti del quartiere, e condizionato lo sviluppo urbanistico dell'area.

Per anni l'indagine è rimasta sostanzialmente ferma. Poi a gennaio del 2014 la Procura ha chiesto il rinvio a giudizio di tutti gli indagati, continuando a sostenere che la falda acquifera di Santa Giulia è stata inquinata in modo criminale. Ma il 29 maggio successivo arriva il colpo di scena. Il giudice preliminare Roberta Nunnari, sulla base delle perizie dell'Arpa, stabilisce che il reato di inquinamento della falda «non sussiste», e proscioglie tutti gli imputati dalla accusa più grave.

Per il giudice, insomma, i veleni di Santa Giulia semplicemente non esistono. Gli imputati vengono rinviati a giudizio solo per reati minori relativi alla gestione di rifiuti non autorizzata: reati colpiti con sanzioni così lievi che quando il processo approda in aula il tribunale si rende conto che sarà impossibile arrivare anche alla sola sentenza di primo grado. Così si traccheggia in attesa che scatti la prescrizione, che ieri arriva e viene sancita.

Con una sola eccezione: un funzionario dell'Arpa, Paolo Perfumi, rifiuta di cavarsela in questo modo, rinuncia alla prescrizione e chiede di venire processato per dimostrare la sua innocenza.

Solo per lui, il processo va avanti il 3 novembre.

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