Bossi, Moratti e Tremonti: così vogliamo salvare le medie imprese milanesi

Umberto Bossi, Giulio Tremonti, Letizia Moratti. L’inconsueto terzetto si ritrova all’hotel Marriott, a un convegno di taglio e platea nordista, dal titolo «Finanza agevolata per le piccole e medie imprese: opportunità per sconfiggere la crisi». Si spazia tra gli slogan della guerra di secessione (americana) e le citazioni di Carlo Cattaneo, l’eroe del pensiero federalista delle Cinque giornate di Milano. Il clima è caldo, in alcuni momenti incandescente, a causa delle difficoltà economiche e finanziarie di cui sono vittima le piccole e medie imprese. A Milano sono trecentosessantamila, numero che è segno di quanto le pmi siano colonna portante dell’economia ambrosiana.
Il sindaco, Letizia Moratti, mette sotto accusa le politiche dell’Unione europea: «Non sempre i provvedimenti dell’Europa sono di sostegno ai nostri marchi». Ma l’elemento di maggiore allarme è l’accesso al credito, ovvero il fatto che gli istituti bancari stentano a dare fiducia alle aziende. Come racconta un allarmato Claudio Galassi, presidente di Confapi, «i piccoli imprenditori non hanno riserve in banca e devono mettere nell’azienda il valore della casa e il futuro dei figli».
Il ministro dell’Economia consiglia di avere rapporti con le piccole banche («stanno facendo bene, il maggior rapporto col territorio è fondamentale») e annuncia l’arrivo di «un libriccino che illustra tutte le opportunità». Rosy Mauro, vicepresidente del Senato e leader storica del sindacato padano, indica un obiettivo politico: «Non delocalizzare, ma tenere le piccole e medie imprese sul territorio». Un contrordine per riportare le fabbriche a casa.
Moratti dal palco fa l’elenco dei provvedimenti a sostegno delle piccole e medie imprese garantiti da Palazzo Marino. Un impegno da dodici milioni di euro. Spiega il sindaco che un bando da 5 milioni è stato destinato per sostenere le imprese della periferia milanese; 2,5 milioni sono stati impegnati per i distretti artigiani come Brera, i Navigli e Paolo Sarpi, che sono anche «presidi sociali» e «difesa di marchi storici locali dell’artigianato che è meglio non perdere». Infine il Comune ha investito nella ristrutturazione del credito e nell’accesso al credito a tassi agevolati (un punto in meno rispetto ai valori di mercato), attraverso una convenzione con la Banca Popolare di Lodi, accordo che è stato presentato all’Abi con l’obiettivo di estenderlo ulteriormente ad altri istituti bancari.
Bossi dà i numeri di un altro scandalo, per spingere sull’acceleratore del decentramento: «In Lombardia una garza costa dieci lire, mentre in altre regioni mille volte di più. Succede perché la differenza la grattano, la mettono in tasca». Il Senatùr indica la soluzione nel federalismo fiscale («quando avremo le deleghe attuative e si abbandonerà il criterio della spesa storica, non sarà così facile buttare via i soldi») e l’avversario da battere in scartoffie e lungaggini che affossano le imprese: «La burocrazia è uno dei motivi più gravi di blocco dell’economia del Paese».
Tremonti spiega qual è a suo avviso l’origine di tutti i mali: «L’Italia è l’unico Paese europeo a non avere il federalismo fiscale e questo è il punto centrale, perché non si tratta solo di un’idea politica di Bossi». Il ministro dell’Economia ribadisce il no taxation without representation, niente tasse senza rappresentanza, che fu lo slogan della rivoluzione americana. Tradotto nell’attualità, è un’accusa alla politica italiana: «Metà del governo è fuori dal criterio del no taxation without representation, vale il principio che più spendi e più voti prendi». Il senso del discorso di Bossi e Tremonti è molto semplice e ricorda la Lega degli esordi: il Sud spende e spreca, il Nord paga i conti.
Sventolano le bandiere della questione settentrionale. Sul palco dei relatori si torna a parlare di dazi.

Galassi, presidente di Confapi, non nasconde che gli piacerebbe un po’ di protezionismo: «Eppure cinque o sei anni fa, quando il ministro Tremonti tirò fuori la proposta per la prima volta, se qualcuno era d’accordo lo prendevano per matto...».

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